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08/11/2015 06:15:00

Lo Voi: "Messina Denaro non è il capo assoluto della mafia"

«Se mi chiedeste di fare una mappa aggiornata, parlo di Palermo, dei mandamenti e delle famiglie, avrei qualche difficoltà perché, secondo le indagini, è legata alla specifica forza e autorevolezza del personaggio che si trova a dirigere una delle famiglie o dei mandamenti». Così il procuratore della Repubblica di Palermo, Francesco Lo Voi, in Commissione Antimafia. «Se rientra in campo un soggetto autorevole, si riarticola l’assetto territoriale. Ecco perché l’essenza di Cosa Nostra con il mantenimento delle sue regole, delle strutture, dei percorsi decisionali, si coniuga con questa loro flessibilità. Noi dobbiamo reagire con pari flessibilità di intervento. Ciò rende più difficili le indagini», ha proseguito Lo Voi. «Quella scomposizione e ricomposizione di cui parlavo è legata alla specifica forza e alla autorevolezza del personaggio che si trova a dirigere una delle famiglie o uno dei mandamenti. Lo spostamento della sede del mandamento da una famiglia all’altra è effetto di una scelta non territoriale ma personale», ha concluso.

«MESSINA DENARO NON È IL CAPO ASSOLUTO»
Il procuratore capo di Palermo ha anche detto che «il ruolo di capo assoluto non sembra essere rivestito in questo momento da Matteo Messina Denaro». «In questo momento probabilmente non c'è il capo assoluto dentro Cosa Nostra: questo per certi versi però rafforza la struttura classica, storica, di Cosa Nostra che non prevede il capo assoluto ma l'incontro delle espressioni, una collegialità mobile». Quanto a Denaro, «ci si trova di fronte a un latitante diverso da quello a cui eravamo abituati prima. È un latitante sui generis che controlla il suo territorio che non per questo sta permanentemente sul suo territorio; è un latitante che continua a utilizzare i pizzini per lo scambio delle informazioni ma non escludiamo utilizzi sistemi di comunicazione più tecnologici e molto meno controllabili è un latitante mobile sul territorio nazionale e anche al di fuori. Le attività per la sua cattura sono difficili, estremamente complesse e vedono impegnato il meglio delle forze di polizia che abbiamo in Italia in un gruppo interforze che sta lavorando senza tralasciare nulla».

IL SUPERLATITANTE E LE COPERTURE DI CUI GODE
Quanto alle coperture di cui il boss sta godendo, per il procuratore di Palermo «nascono da ipotesi investigative che fanno ritenere che 23 anni di latitanza è difficile reggerli senza un qualche appoggio che non deve essere per forza di altissimo livello e che contestualmente sulla base di elementi su cui si sta lavorando ci fanno ritenere che non siano neanche di basso livello: professionisti, imprenditori, persone collegate a determinati ambienti, non esclusa la Massoneria».

RISCHIO DELEGITTIMAZIONE MAGISTRATURA PALERMITANA
Sul caso Saguto ha invece detto: «Non posso nascondere che un rischio di delegittimazione della magistratura palermitana per effetto di ciò che sta accadendo vi sia ed è quello contro cui dobbiamo combattere. Possiamo combattere questo rischio e confinarlo in un angolo, se non farlo uscire dalla stanza solo continuando a fare appieno e nella maniera più forte ed efficace possibile il nostro dovere. Il rischio c'è lo si è avvertito da subito, da tanti segnali». E ancora: «Non dobbiamo dimenticare che la Sezione misure di prevenzione di Palermo storicamente e anche recentemente è stata un ufficio cardine nel contrasto a Cosa Nostra e lo ha fatto con coraggio». «C'è stato un periodo in cui si aveva difficoltà a trovare qualcuno che volesse svolgere quei compiti, in cui si aveva difficoltà a trovare chi volesse svolgere il ruolo di amministratore di beni sequestrati a Cosa Nostra». «Chi ha sbagliato paghi duramente - ha concluso il procuratore della Repubblica di Palermo - perché non è ammissibile che un ruolo talmente delicato possa essere minimamente deturpato a vantaggio di alcuni».