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24/09/2016 07:00:00

Magie e delusioni della vendemmia a Marsala. "Zucchi", "filari", prezzi bassi e caporalato

La sveglia ti chiama insistentemente alle sei della mattina. Non le importa di quanto sei stanco: è sorto un nuovo giorno in cui si deve vendemmiare, bisogna farlo.
Dall’automobile i campi in lontananza sembrano tanti pezzi di puzzle, messi a casaccio, senza senso e senza una quadratura di fondo, ma nonostante questa imperfezione, sembra un quadro di qualche paesaggista francese. Ci troviamo però nelle campagne di Marsala. Io che non ho mai vendemmiato, che sono venuto qui, da Bologna, per altre cose, colgo l'occasione al balzo e mi catapulto in mezzo a “zucchi” e “filari”. Vedo ogni mattina ragazzi di colore sorridenti sui camion che li porteranno sui campi a vendemmiare. Li trovi alle 4 della mattina in sella alle loro bici che percorrono via Salemi e tante altre via per raggiungere i luoghi stabiliti dalle leggi non scritte del caporalato, dove una volta arrivati, come fosse un mercato di bestiame, ci si fa scegliere, se va bene si ha un posto sul camion per quella giornata, forse per quella dopo.
Sorridono, e penso che non sono loro a rubarci il lavoro ma ce ne priviamo noi stessi.
Non ci rubano il lavoro, se lo conquistano, lottano per averlo; quanti altri giovani italiani come me, come loro, farebbero questo per un mese? Pedalare ogni giorno nelle ore più tarde della notte nelle contrade più sperdute per farsi scegliere, per lavorare e ricevere dei soldi che non danno giustizia alle ore lavorate.
Li guardo su quei camion, e penso che sono miei fratelli, e mi vengono in mente i versi di una poesia di Dylan Thomas:

“Nella loro rovina vedo i ragazzi dell'estate
desolare i campi d'oro,
non dare importanza alla messe, raggelare il suolo;
laggiù nel loro ardore che l'inverno inonda
di gelidi amori, le loro ragazze essi prendono,
nelle proprie maree le mele cariche annegano.
Nella vostra rovina vi vedo, ragazzi dell'estate.
l'uomo è sterile nella sua larva.
E nella sacca i ragazzi son colmi e stranieri.
lo sono l'uomo che fu vostro padre.
Noi siamo i figli della selce e della pece.
Oh, vedi i pali che si baciano incrociandosi.”

Pali che in questa realtà hanno la figura delle gigantesche pale eoliche che abbracciandosi con le correnti regalano energia alle nostre case, o forse no mi dicono, che molti non sono allacciati alla rete. Pale eoliche che dicono a chi vendemmia se arriverà loro un po' di frescura data dal vento o restando immobili, condannarli ad una giornata di calura. Pale eoliche che assomigliano a moderni mulini a vento e i contadini tanti Don Chisciotte impegnati a combattere guerre ed ingiustizie senza che ne saranno vincitori; s’accontenteranno.
Il vino siciliano contiene non solo solfiti, ma anche ingiustizia, caporalato, deprezzamento; nel 2016 è ancora la Sicilia de “Il Gattopardo”.
In Sicilia il prezzo comune di un quintale di uva viene pagata 20/25 euro.
In Calabria dai 35/40, in Veneto 70/80 euro.
Si dovrebbe fare come con le quote latte, buttare via tutto, ribellarsi ad un prezzo così basso nei riguardi di un lavoro che trova il suo fine nella raccolta dell’uva ma che tiene i contadini impegnati un intero anno con gli innesti, disinfestazioni e controlli vari. Quando le annate sono storte per cause climatiche, per malattie della vite, un contadino a questo prezzo non si rifà manco delle spese sostenute un intero anno.
Alla fine lo so io come lo sanno loro che nulla cambierà. I contadini siciliani a questo ci sono abituati.
Sulla mia pelle bruciata comprendo finalmente che una bottiglia di vino ad un euro non è vino, non rende giustizia a tutto questo lavoro: è “acqua loida” come la chiamano qua.
Rino Gaetano già lo diceva negli anni ’70, nella sua canzone Ad esempio a me piace il sud:
”Camminare con quel contadino che forse fa la stessa tua strada, parlare dell’uva, parlare del vino, che ancora è un lusso per lui che lo fa”.
A distanza di 40 anni nulla è cambiato.
Quasi tutti i contadini fanno un po' di vino per conto loro, ne parlano, si confrontano e si creano dibattiti sui vari metodi che vengono usati da singolo a singolo.
Vino che nulla ha a che vedere con quelli imbottigliati. Questi vini portano con se la purezza dei bambini quando ancora non formano un proprio carattere che li plasmerà secondo una via rispetto ad un’altra.
E’ il saper attendere la fermentazione del mosto.
Mi ritrovo le mani, che fino a qualche mese fa non avevano mai avuto contatto con l’agricoltura, piene di tagli, sporche e con le “papule”.
“Il grappolo si prende dal culo”: Lezione fondamentale numero 1 mai acquisita appieno.
La vendemmia è il cappello di paglia che ti copre dal sole, il pranzo a sacco per terra sotto un albero che fa ombra, e dopo questo stendersi sulla terra e guardare il cielo, il giusto valore del riposo; cose che ci precludiamo a causa della città.
Quand’è stata l’ultima volta in cui ci siamo stesi su un prato a guardare il cielo senza nulla pensare?
Il sole batte così forte che devo mettere sul coppino una bandana che bagno ogni mezz’ora altrimenti mi si ustionerà il collo.
Riscoprire il valore dell’acqua.
La vendemmia dovrebbe essere inserito in un programma culturale etno-antropologico, dove si potrebbe far toccare con mano a tutti i turisti il processo che c’è dietro a qualsiasi bottiglia di vino. Fargli assaggiare il chicco di Grillo, di Nero D’avola prima che diventino un misto di mosto e solfiti; fargli assaggiare il gusto originario.
Ogni prodotto vinicolo è un tributo alle migliori tecniche di ricerca e in Sicilia, soprattutto a Marsala si è leader.
Prima di portarli in cantina, portarli sui campi, ascoltare il vernacolo contadino che è il patrimonio più antico dell’Italia, trasmettere un’esperienza che rivivranno difficilmente.
Guardo un grappolo e penso che ha la forma di come dovrebbe essere il buon governo di una città, la forma di qualsiasi cosa di buono: lo “zucco” dev’essere sano se vuol dare una buona “racina” e affinché questo accada nel momento successivo alla raccolta il contadino pratica la legatura: scegliere le nuove “spalle” della vite dai quali si crede possano nascere nuovi rami che possano portare una buona uva, eliminare i tralci che hanno fruttato nulla o malati; se la “racina” a sua volta è sana e robusta avremo un grappolo forte e compatto con ogni singolo chicco sano che forma un intero apparato sano, una bellezza organizzativa e matematica.
Perché La natura per i suoi prodigi risponde sempre alla matematica.
Le foglie delle viti si colorano d’autunno, lo sguardo si perde sui campi infiniti senza più grappoli penzolanti risplendenti sotto i raggi del sole.
Il camion è pieno di uva, soddisfazione e stanchezza che andranno in cantina.
I venti euro a quintale metteteli pure lì.
Finita la vendemmia segue sempre una festa.

Stefano Frungillo