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07/10/2016 06:10:00

La Sicilia, lo squallore, lo splendore. Lettera di una mazarese al Corriere della Sera

 Il Corriere della Sera ha pubblicato la lunga lettera di una donna di Mazara, Angelita,  all'editoralista Beppe Severgnini, nella rubrica Italians. Una lettera molto bella, la "storia di chi non ce l'ha fatta". Angelita racconta infatti dell'esilio a cui sono costretti i giovani siciliani, al Nord o all'estero. Ecco il testo: 

In questi anni ho sempre letto di gente che qui ce l’ha fatta; tuttavia, mi duole farlo, io oggi vi racconto la storia di chi non ce l’ha fatta. Ci sono le prime e le seconde nozze, la prima e la seconda Repubblica, il primo e il secondo piatto. Io, se vi piace, dispongo del primo e del secondo esilio. Ma di quelli di lusso, però! Niente barconi cadenti e gommoni con scafisti che ti gettano in mare, ma tanto di valigia colorata e rotelle, cassata imballata per l’asporto e un posto in aereo che invece di portarti in Sicilia, ti manda via. Sono sempre stata tentata di scrivere a ITALIANS. Tentata della mia rabbia da esiliata all’estero, da questa terra infame e meravigliosa al tempo stesso, che io amo più di me stessa. Adesso mi preme rispondere alla corregionale Manuela Corra, la quale, troppo ottimista sull’avvenire dell’isola, mi getta nello sconforto facendomi sentire ancora più disadattata e fallita rispetto ai recenti trascorsi. Anzi, se posso, rispondo anche al commento dello stimatissimo Bsev, che per me è più logico e, mio malgrado, più realistica. Mi sono laureata nel 2003 in Toscana, in seguito alla fuga dall’Ateneo di Palermo . non ero abbastanza sportiva da sopportare il danno che mi provocava l’assenteismo dei professori e la completa disorganizzazione degli uffici universitari della Conca d’oro. Mi trasferii a Udine per seguire un amore, sicura che il Triveneto mi avrebbe offerto tante possibilità professionali, ma l’unico lavoretto che rimediai fu quello trimestrale di portalettere. Ricordo cartelli attaccati alle vetrine nei centri commerciali che recitavano: “Cercasi commessa con esperienza”. Con una laurea in mano, non sarei stata buona nemmeno per piegare vestiti. Cominciai ad inviare curricula all’estero e mi chiamarono in men che mi aspettassi. Partii per i Paesi Bassi ma giurai di tornare al massimo entro un anno. Mentre mi leccavo le lacrime della lontananza, ripetevo, come un mantra: in fondo quella di vivere al centro dell’Europa sarà un’occasione speciale, buona per praticare le lingue straniere che ho imparato in 12 anni di studi e sacrifici economici per i miei genitori. Presto sarei tornata in Sicilia a fare grandi cose. Ci rimasi dieci anni. Non so ancora dire se fu più grande la soddisfazione nel sentir dire ai miei manager: “Non andare via, abbiamo bisogno di te” o l’entusiasmo forsennato, collezionato in quegli anni, che mi faceva sentire sfacciatamente pronta al controesodo. Anche l’Italia aveva bisogno di me! Così terminai il mio primo esilio e me ne tornai a casa con in tasca un progetto imprenditoriale di turismo culturale: avrei utilizzato le competenze acquisite in quegli anni, ottimizzato le risorse dell’azienda agricola dei miei e il B&B che nel frattempo mia madre si era inventata nella casa troppo grande, costruita per le due figlie che invece di sfornare figli e mettere su famiglia, se ne andavano in giro per l’Europa a lavorare per altri. Nel giro di niente conquistammo ospiti da ogni parte del mondo, venuti a consumare quelle “colazioni lente” di cui si parla ancora tra il Brasile e la Tasmania, da Dubai a Saint Louis, da Odense a Boston e a Parigi. Ma presto iniziarono gli scontri con amministratori locali dotati della migliore specie di ottusità e negligenza, sordi verso gli interessi della cittadinanza; con religiosi narcotizzati solo dall’odore dei soldi; con cittadini indolenti; con imprenditori disonesti. In mezzo a questi gironi infernali, splendevano soli siciliani di infinita bellezza. Ma io, come molti, non ce l’ho fatta; e me ne andai di nuovo. A gennaio fui chiamata a prestare servizio come insegnante di lingua francese presso una scuola pubblica di Milano. Comincia, così, il mio secondo esilio. Il fatto di essere emigrata quasi immediatamente dopo la laurea, e di non aver intrapreso allora il percorso abilitante, fa sì che adesso io rientri a pieno titolo in quella fossa comune di insegnati precari e tappabuchi che completano la rosa dei dipendenti MIUR della “buona scuola” italiana. La stessa buona scuola che, ad oggi, deve ancora liquidarmi gli stipendi dal mese di aprile (esami di stato e corsi di recupero inclusi), motivo per cui sono stata costretta a tornare dai miei (genitori settantenni in pensione) e chiedere un aiuto economico per potermi permettere una camera in affitto a Milano durante i sette mesi di “supplentite”. Carissimo Beppe, le sto scrivendo tutto questo dalla cucina della mia casa a Mazara del Vallo; la finestra è aperta a nord ovest e sono le 17. Il vento di scirocco fa entrare a casa il rintocco delle campane di San Vito e il muezzin che annuncia l’ora della preghiera araba. Questa è una terra disgraziata, ma piena di tutto. Sciascia recitava: “è squallore e splendore insieme”. Se passasse da Enna a trovare Manuela, e avesse tempo per una colazione lenta, batta un colpo, ma faccia presto, sto preparando le valigie per il terzo esilio.

Angelita Russo



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