Trattativa Stato - mafia, la difesa di Mancino: "Subdole insinuazioni"
"Sull'incontro con il giudice Paolo Borsellino, che non conoscevo fisicamente ma che in tante mie dichiarazioni non ho mai escluso di avergli potuto stringere la mano, come avevo fatto e stavo facendo nel pomeriggio del primo luglio 1992 con tante personalità convenute a Viminale per gli auguri di rito, si sono dette, diffuse e scritte maliziose e subdole insinuazioni. 'Possibile che non lo conoscesse, che non ricordasse: è reticente, chissà che nasconde'". Lo ha detto l'ex ministro dell'Interno, Nicola Mancino, rendendo dichiarazioni spontanee al processo sulla trattativa tra Stato e mafia, in corso al bunker dell'Ucciardone di Palermo. Mancino fa riferimento all'incontro del primo luglio 1992, giorno di insediamento di Mancino al Viminale, nel corso del quale avrebbe incontrato il giudice Borsellino. Un episodio che, però, Mancino sostiene di non ricordare con nitidezza. "Dal telefono interno degli uffici del Dipartimento di pubblica sicurezza mi chiamò il Prefetto Parisi per chiedermi se, trovandosi al Viminale, potevano venirmi a fare gli auguri i giudici Borsellino e Aliquò. Naturalmente risposi affermativamente", dice Mancino.
E ricorda le dichiarazioni del pentito Gaspare Mutolo che proprio quel giorno veniva interrogato da Borsellino. "Riferì che il suo interrogatorio venne sospeso a seguito di una telefonata proveniente dal Viminale - dice Mancino - Al ritorno dal Viminale al giudice Borsellino che appariva turbato, scuro in volto, inquieto, il pentito Mutolo avrebbe fatto questa osservazione: Invece di essere contento di avere incontrato il ministro... e il giudice interrompendolo, avrebbe detto 'che ministro e ministro, ho incontrato Parisi e Contrada', secondo Mutolo, Contrada già sapeva che Mutolo stava collaborando e che era a disposizione del magistrato".
"Quel giorno - prosegue Mancino nelle dichiarazioni spontanee - faccio notare che in compagnia del giudice Borsellino si recò al Viminale anche il giudice Aliquò che, interrogato dai pm di Palermo, così rispose: 'Il ministro, ovviamente, si era alzato dalla sua scrivania e ci fece accomodare in un salottino, la conversazione dopo i convenevoli, si era incentrata sul fatto che c'erano difficoltà di indagine", e ricorda che "il dottore Aliquò smentendo Mutolo (non si erano incontrati con Contrada) precisa che dopo l'incontro con il ministro, il dottor Borsellino non aveva manifestato segni di nervosismo". Poi, Mancino ricorda il suo arrivo al Viminale: "Il primo luglio mi insedio al Viminale e ricevo la mattina, per i i saluti, il Capo della Polizia, dottor Parisi, il più alto in grado del Ministero dell'Interno".
INGROIA. "L’ex ministro Mancino definisce 'temeraria' la mia tesi secondo cui l’attendibilità delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino va valutata caso per caso, a seconda se le dichiarazioni sui singoli fatti siano state o meno riscontrate. Sul punto mi limito a ricordare che la cosiddetta 'attendibilità frazionata' di testimoni e collaboratori di giustizia è stata più volte autorevolmente ribadita dalla Cassazione". Lo ha detto Antonio Ingroia, ex pm della procura di Palermo e oggi avvocato, commentando le dichiarazioni spontanee dell'ex presidente del Senato, Nicola Mancino, all'udienza del processo sulla trattativa tra Stato e mafia all'aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo."Continuo, invece, a ritenere davvero temeraria, o meglio spudorata - aggiunge Ingroia -, la pretesa di Mancino di essere creduto quando dice di non ricordare di avere incontrato e stretto la mano a Paolo Borsellino perché non lo conosceva 'fisicamente', visto che l’incontro è avvenuto il primo luglio '92 quando era ministro dell’Interno e le foto di Borsellino erano sulle prime pagine di tutti i giornali nel momento in cui, a poche settimane dalla strage di Capaci, era considerato il naturale successore di Falcone e vittima predestinata ad essere uccisa della mafia, come puntualmente accadde poco dopo" conclude l'ex pm antimafia".
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