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30/05/2017 06:00:00

Cosa resta della politica dopo il "caso Trapani"?

 Quale lezione trarre dalle vicende relative a quel che gli stessi inquirenti hanno definito “Sistema Trapani”?

La politica si conferma sempre più ancella dell’economia. I rappresentanti del popolo trottano, solerti, al servizio dei grossi imprenditori. Dopo l’azzoppamento del senatore D’Alì, candidato Sindaco di Trapani e “sorvegliato speciale” (ma intenzionato comunque a proseguire la sua campagna elettorale) e dell’On. Girolamo Fazio, altro candidato Sindaco del capoluogo, agli arresti domiciliari: trionferà Savona, candidato PD appoggiato da Ruggirello? A ko tecnico gli araldi del centrodestra, il candidato piddino prova a ‘vincere facile’ contando sul sostegno del personaggio-simbolo della mutazione genetica del partito, un tempo guidato da Pio La Torre. Non è certo una novità. Da Roma a Palermo a Marsala: in molti hanno voluto sperimentare questa sorta di “itinerario del meraviglioso”. Con risultati che sono sotto gli occhi di tutti e che, per ciò che concerne la nostra città, emergono con palmare evidenza dalla coraggiosa lettera dell’avvocato Pantaleo. Peraltro, non l’unica “vox clamantis in deserto”. Norberto Bobbio, a più riprese, segnalò come principale pericolo per la democrazia l’abulia dei cittadini, l’indifferenza dei giovani rispetto alla consapevole partecipazione alla vita politica. E non a torto.

Ma, di grazia, perché le nuove generazioni dovrebbero nutrire passione per ‘questa’ politica ridotta a Cenerentola dei poteri forti, pratica machiavellica, mestiere per ‘furbetti del quartierino’? Per ‘questi’ partiti, organismi geneticamente modificati nell’identità. Immemori della propria storia. Organizzati in strutture blindate ed oligarchiche. Degradati a comitati elettorali al servizio esclusivo di “uomini soli al comando” in versione bonsai, che fanno il bello e il cattivo tempo nei territori, applicando al ribasso l’esempio che giunge dal centro. Partiti che spuntano come funghi a due mesi dalle competizioni elettorali e scompaiono come neve al sole a due settimane dalla chiusura delle urne. Con candidati che tallonano, suadenti, i cittadini fino al giorno prima del voto e, una volta dentro le istituzioni, non li vedi più neanche con il più potente dei cannocchiali: la politica diventa loro esclusivo appannaggio,alla condivisione delle scelte preferiscono le decisioni prese nelle segrete stanze del Palazzo. Prima non vanno tanto per il sottile nel valutare la “qualità del consenso”, poi l’utilizzano per le loro miserabili carriere, per soddisfare le richieste delle loro vaste e variegate clientele. D’altra parte, il comportamento dei cittadini non corrisponde certo a quello che la Costituzione reclama. Altro che “Conoscere per deliberare”, a volte pare che le persone non aspirino che a diventare accaniti consumatori, che delegano di buon grado le scelte che li riguardano per sottrarsi alla fatica di informarsi e partecipare: condizioni senza le quali, però, non può esistere “pubblica opinione” né democrazia. Non ci può essere buona politica senza partecipazione responsabile dei cittadini. Così come, non si potrà contare sul “Sesto Potere” finchè la politica non recupererà’ autorevolezza e continueranno a suonare beffarde le parole scolpite nell’articolo 54 della Costituzione: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”. Politica è interessi e valori. Politica è “con chi” e “contro chi”. E’ capacità di misurarsi con la complessità. Di fornire soluzioni efficaci ai problemi che assillano le comunità. Di proporre una Weltanshauung comprensibile e condivisa.

Fino a quando, al contrario, la ‘politica’ (il “caso Trapani” aiutando) continuerà ad essere percepita come terreno privilegiato per le scorribande di consorterie economico-massonico-burocratiche impegnate a coltivare i propri torbidi interessi e non come open space ove i rappresentati co-costruiscono con i loro rappresentanti le decisioni inerenti l’intera collettività,la maggior parte della popolazione se ne allontanerà. Facendosi ridurre al rango di tifosi – “a prescindere” – di un qualche ducetto di provincia. O vivendo la politica, cinicamente, soltanto in termini di “do ut des”. Spegnendo così ogni stenta, tremolante fiammella di speranza nel nostro già baluginante futuro.

G. Nino Rosolia