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26/07/2017 06:00:00

Bufera sull'antiracket Sicilia. Cinque associazioni bloccate e altre sotto indagine

E’ un vero terremoto quello che si sta abbattendo sulle associazioni antiracket siciliane. Inizia così a muoversi qualcosa che tende a far piena luce sulle dinamiche dell'associazionismo che dovrebbe lottare contro le estorsioni e il pizzo. Le indagini su possibili infiltrazioni di imprenditori vicini alla mafia hanno portato nei giorni scorsi, addirittura, alla cancellazione dalla lista delle associazioni di “LiberoJato”, mentre un’altra, “Libero Futuro - associazione antiracket Libero Grassi Bagheria Valle Eleuterio”, non è stata ammessa.

Su questi casi c’è l’indagine della commissione parlamentare antimafia presieduta da Rosy Bindi. Tra i soci di Libero Futuro ci sono i figli di Giuseppe Amato, imprenditore edile di Partinico che fornì la carta d’identità a Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina. Mentre per quanto riguarda “Libero Futuro Bagheria”, i fondatori sono gli imprenditori Di Salvo, impegnati nella ristrutturazione del palazzetto dello sport di Palermo per i quali è scattata l’interdizione antimafia della Prefettura. Non proprio un bel momento per le associazioni che ruotano attorno all’area dell’associazione “Libero Futuro” di cui è animatore Enrico Colajanni che ha rotto con Addiopizzo!

Ma la Prefettura oltre al blocco di due associazioni in odor di mafia si è mossa per bloccare anche quelle che sono inattive da tempo. L’indicazione anche per questo aspetto, era arrivata nei mesi scorsi dal commissario nazionale dell’Antiracket Domenico Cuttaia che aveva scritto ai prefetti italiani sulla necessità di imprimere un rinnovato impulso all’attività di revisione degli elenchi provinciali. Cuttaia nella sua circolare ha evidenziato la necessità di verificare la reale capacità operativa delle associazioni, sempre più spesso impegnate solo ad incassare finanziamenti e a collezionare parti civili, molte volte fuori dalla propria competenza territoriale. Ed è quello che è successo a Libero Futuro Bagheria, che chiedeva di entrare nell’elenco, considerato il lasciapassare per accedere ai finanziamenti e fondamentale per costituirsi parte civile nei processi.

Il provvedimento di cancellazione dalla lista prefettizia, riguarda cinque associazione tra cui un un nome storico del movimento antiracket, “Sos Impresa Palermo”. E’ stata cancellata per inattività anche l’associazione “Co.di.ci. – centro per i diritti del cittadino”, l’associazione “Coordinamento delle vittime dell’estorsione dell’usura e della mafia”, “l’Associazione antiracket Termini Imerese” (A.T.I.) e l’associazione “Liberi di lavorare”.

Dal movimento antiracket si annunciano ricorsi al TAR per cercare di cambiare la decisione prefettizia, ma intanto, come detto, la stessa commissione Antimafia vuole vederci più chiaramente in queste dinamiche delle associazioni, alcune sospettate di contiguità mafiose altre di essere inattive sul campo e di esserlo solo per chiedere contributi e finanziamenti pubblici.

Insomma, un nuovo duro colpo assestato al movimento antiracket, che da tempo vive una fase delicata fatta di inchieste, tensioni al suo interno e non poche polemiche sul reale valore del movimento stesso, e che arriva a poco più di un mese dall’anniversario della morte di Libero Grassi, l’imprenditore palermitano divenuto simbolo della lotta al racket delle estorsioni.

Portavano il nome “Libero” le due associazioni bloccate dalla Prefettura di Palermo, come portava fino a qualche tempo fa il nome di “Paolo Borsellino” l’associazione Antiracket di Marsala, della quale ci siamo occupati più volte dalle pagine di Tp24, e costretta a cambiare nome dopo alcune pubbliche diffide del figlio di Paolo Borsellino, Manfredi. Adesso l’associazione si chiama “La verità vive”, la frase scritta sulla lapide di Rita Atria, la giovane di Partanna che raccontò al giudice Borsellino ciò che sapeva della mafia del Belice e qualche giorno dopo la strage di Via D’Amelio si tolse la vita. Sull’associazione antiracket di Marsala che ruota attorno al suo legale e dominus Giuseppe Gandolfo, c’è un fascicolo d’indagine aperto dalla Procura di Palermo e affidato al sostituto Leonardo Agueci.

Il motivo per cui l’Associazione Antiracket è un caso unico in Italia è: la costituzione in serie di parte civile in processi che non hanno a che fare non solo con il racket, ma nemmeno con Marsala. A questa attività, infatti, non si affianca alcuna reale attività di contrasto ai fenomeni dell’usura o del racket sul territorio (nessun commerciante o imprenditore è stato mai seguito dall’associazione dalla denuncia al processo, come invece avviene in altre realtà), ma solo tutta un’attività abbastanza retorica e vuota di senso, cercando di intruppare, come avviene spesso nel mondo dell’antimafia, le scuole.

Cosa fa l’associazione che ha già una propria sede? Inserisce nello statuto delle sedi fittizie in gran parte d’Italia, fatto che permette di chiedere di essere ammessi come parte civile ai processi, come accaduto a Bologna, contro la ‘ndrangheta in Emilia, dove ha ottenuto risarcimenti danni (e relative parcelle), partecipando al processo il minimo essenziale. La stessa cosa non è riuscita con il processo “Mafia Capitale”, lì è stata esclusa. Così come è stata esclusa nel processo sulla Trattativa Stato - mafia. Ma l’associazione ha chiesto di essere ammessa parte civile nel processo a Matteo Messina Denaro per le stragi del 1992 che si tiene a Caltanissetta. E in questo caso non solo non c’è un nesso di causalità, ma i fatti sono antecedenti alla data di fondazione dell’Associazione.
L’associazione ha chiesto anche di essere ammessa, ad un processo, "Gotha 6" che si tiene a Barcellona Pozzo di Gotto: un processo che cerca di fare luce su diciassette omicidi avvenuti nel contesto della mafia barcellonese tra il 1991 e il 2003. In questo caso non c'è nemmeno l'imputazione associativa.

Vedremo come evolverà la situazione, ma intanto, tra inchieste della magistratura, le direttive del commissario Cuttaia e l’interesse a far luce della commissione antimafia, sembra si voglia finalmente fare chiarezza su un movimento ormai diventato troppo spesso solo di facciata. E sul movimento antimafia c’è un’interessante riflessione di Umberto Santino su Repubblica che ricorda come già dal 1984 anno in cui si formò il primo coordinamento del movimento, le cose non erano molto chiare sin d'allora. Questa la riflessione di Santino su Repubblica:

Ora si parla di associazioni inattive da tempo o che avrebbero rapporti con mafiosi. Chi non è un novizio dell’attività antimafia può ricordare che quando si è cercato di costruire un collegamento tra i vari soggetti, sono comparse sigle dietro cui non c’era nulla, - afferma Santino - pure invenzioni di qualcuno che voleva partecipare pensando che fosse in cantiere qualcosa di simile a un club privato o ai provini per uno spettacolo. Al Coordinamento antimafia formatosi nel 1984 aderirono 38 organizzazioni, di cui 19 esistevano solo sulla carta. Ci sono associazioni nazionali che dicono di raccogliere un numero altissimo di comitati, fondazioni , organizzazioni con sedi locali in tutto il territorio; se quel numero corrispondesse alla realtà si potrebbe pensare che mafiosi, ’ndranghetisti, camorristi, capi e gregari di altre consorterie criminali dovrebbero lasciare l’Italia e chiedere asilo da qualche altra parte. Falcone diceva che per trovare la mafia bisogna seguire la pista dei soldi, forse si potrebbe dire la stessa cosa per l’antimafia. Dove ci sono fondi pubblici da spartire, con o senza tabelle H, si dà il caso che ci sia una ressa per prendere parte al banchetto. Bisognerebbe mettere da parte definitivamente la discrezionalità, terreno in cui si incontrano protagonisti e comparse del sistema clientelare, con una legge che fissi dei criteri oggettivi per l’erogazione de fondi pubblici, ma non si vuol fare perché a tanti va bene così. Anche per l’antiracket dev’essere accaduto qualcosa dal genere, ma non è solo una questione di soldi. Oggi per alcuni essere, o fingere di essere, antimafia è seguire il vento che tira, contando di poter sfruttare convenienze che non sono soltanto finanziarie. Si guadagna in prestigio, si indossa l’abito della rispettabilità necessario per comparire in società. Qualcosa di simile ai mafiosi che indossano il grembiulino. Non so se le associazioni prese di mira facciano parte di questa sceneggiata, mi auguro di no. Se c’è un’antimafia di facciata, per fortuna ci sono tanti che fanno scelte coraggiose e si comportano di conseguenza - conclude Santino - . E la cosa più sbagliata è fare di ogni erba un fascio".