Anche la massoneria, così come la politica e le amministrazioni pubbliche, è soggetta ad infiltrazioni mafiose. Come altri ambiti e categorie, ci sono persone rispettabili e capaci, ma anche soci che con gli astratti ideali dell’associazione hanno poco a che fare.
E’ indubbio però che le logge massoniche abbiano un loro peso nella società e si basino principalmente su una sorta di mutuo soccorso tra gli associati.
Dall’ultima relazione della commissione parlamentare antimafia nazionale, presieduta da Rosy Bindi (ne abbiamo parlato QUI), è emerso che la mafia ha sempre coltivato un particolare interesse nei confronti della massoneria e che certamente la cosa non può essere sbrigativamente archiviata come una vecchia vicenda circoscritta al circolo Scontrino di Trapani (almeno per quanto riguarda la Sicilia occidentale), ormai risolta e datata prima degli anni novanta.
Se infatti l’interesse della mafia ha continuato ad esserci, diventa non solo comprensibile, ma anche doveroso chiedersi in che modo i massoni riescono a difendersi dalle relative infiltrazioni.
Quali sono gli anticorpi della massoneria?
E’ a questa domanda che la Commissione ha cercato di dare una risposta, visto che spesso le logge appartengono al mondo delle professioni, del pubblico impiego, compresa anche una certa presenza delle forze dell’ordine. Oltre naturalmente alla presenza di persone che hanno svolto la propria attività in enti pubblici “talvolta sciolti proprio per infiltrazioni mafiose” (il caso di Castelvetrano ne è un esempio).
Durante l’indagine parlamentare, è stato chiesto se la massoneria avesse adottato dei sistemi di prevenzione, proprio per tutelare la propria identità dall’interesse mafioso.
La risposta è stata rassicurante: i nuovi adepti verrebbero selezionati in modo rigoroso, accertando che non siano stati colpiti “da da procedimenti penali e da sentenze di condanna per fatti di una certo allarme sociale,mentre, qualora si scopra che uno degli iscritti, nelle more della sua appartenenza ad una loggia, si sia reso responsabile di un reato di particolare rilievo, egli viene immediatamente sottoposto al processo massonico che può concludersi, finanche, con il depennamento”.
In teoria, il Grande Oriente d’Italia (GOI), la Gran Loggia Regolare d’Italia (GLRI), la Serenissima Gran Loggia d’Italia - Ordine Generale degli Antichi Liberi Accettati Muratori (SGLI), e la Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori (GLI), sulla carta, avrebbero tutti gli anticorpi di questo mondo.
In realtà le cose starebbero diversamente.
Dalla relazione emerge che la richiesta dei certificati penali e dei carichi pendenti da parte di
alcune obbedienze, nonostante il passato imponga maggiore prudenza, “si è risolta in una mera prassi priva di significato, posto che, di solito, non è previsto l’aggiornamento della certificazione”.
Inoltre, non tutti i massoni condannati per gravi fatti di reato, sarebbero stati effettivamente depennati dalle rispettive associazioni.
Illuminante il caso del direttore di alberghi Palermitani, il fratello massone Franco Arabia, che aveva permesso a varie famiglie mafiose di curare i propri interessi all’interno di “Villa Igiea”. Era stato arrestato per mafia e condannato nel settembre del 1999 per concorso esterno in associazione mafiosa.
La loggia lo aveva sospeso, per poi reintegrarlo solo tre anni dopo. Una riabilitazione coi fiocchi, siglata in seguito anche da cariche di rilievo regionali e nazionali di tipo massonico.
Poi ci sono gli ispettori di loggia che dovrebbero occuparsi del controllo interno e, nel caso di accertamento di connivenze con la criminalità organizzata, le sanzioni potrebbero arrivare perfino all’abbattimento della loggia. Ma in diverse occasioni, l’accertamento è stato evitato a favore del mantenimento delle colonne.
Ci si chiede allora quale sia il reale potere del gran maestro e che distanza ci sia tra la consapevolezza, espressa dalla sua posizione apicale e lo svolgersi degli accadimenti alla base, nelle “periferie” massoniche.
Una risposta ce la dà Giuliano Di Bernardo, ex maestro del Grande Oriente, audito dalla Commissione nel gennaio 2017: “Qui entriamo in queste enclave locali, in cui chi sta al
vertice non vede nulla, nella maniera più assoluta. E se sa qualcosa, gli viene rivelato dai giornali. Non c’è, come invece si potrebbe immaginare, una comunicazione che va dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto – ha affermato - Più che altro oggi il gran maestro è una figura rappresentativa, che sta lì. Tutto si svolge localmente, il bene e il male sono realtà locali, è lì che si realizzano”.
L’impressione della Commissione è che alcune compagini, che tra l’altro contano un bel numero di iscritti in tutta Italia, “Non coltivino, nei limiti dei mezzi disponibili, il primario interesse
alla loro impermeabilità dalla mafia. Ciò specie perché si tratta di ambiti in cui – si legge nella relazione – si creano vincoli di subordinazione e di solidarietà molto marcati, sì da dar luogo a un sistema che, poiché avulso dai valori generali, fisiologicamente finisce, da un lato, per essere tollerante delle illegalità e, dall’altro, per facilitare le infiltrazioni criminali”.
Ed in mancanza di un serio sistema interno di controlli, la segretezza del mondo massonico certamente non aiuta.
Una segretezza, spesso confusa con la riservatezza ed il diritto alla privacy.
Argomento trattato nella relazione della commissione dove, in questo senso, il “dialogo” con i gran maestri delle quattro obbedienze ha subito un grosso stallo. Nessuno ha infatti voluto trasmettere gli elenchi degli iscritti.
Si legge, sempre nella relazione, che “tutti adducevano ragioni ostative, più o meno articolate, ma sostanzialmente riconducibili alla legge sulla privacy. La pretesa di conoscere i nominativi degli iscritti, addirittura, si sarebbe risolta secondo alcuni in una sorta di istigazione a delinquere da parte della stessa Commissione verso coloro che, invece, erano tenuti ex lege al rispetto della riservatezza dei loro sodali”.
Una forzatura pretestuosa, quella della privacy. Secondo la commissione, infatti, “i gran maestri e i loro consiglieri, soggetti sicuramente non sprovveduti, ben avrebbero dovuto conoscere la più volte invocata legge sulla privacy anche laddove questa espressamente prevede la sua non applicabilità alle inchieste delle commissioni parlamentari, così come ben avrebbero dovuto sapere che, in ogni caso, nel bilanciamento dei diritti di rango costituzionale, quello alla riservatezza, come ormai consolidato, è destinato a cedere di fronte all’interesse dell’accertamento giudiziario e delle inchieste parlamentari di pubblico interesse”.
Ad ogni modo, dato che i gran maestri si erano rifiutati (accampando “inverosimili argomentazioni giuridiche”), gli elenchi sono finiti sequestrati. Ma dato che il sequestro è avvenuto presso le sedi ufficiali delle quattro obbedienze, pare che non fossero quelli completi, forse custoditi altrove.
Al momento quindi, non è possibile per la commissione parlamentare (e forse nemmeno per gli organi inquirenti) avere un quadro esaustivo di tutti gli inscritti.
Alcuni sostengono che si tratti di una campagna contro la massoneria, ma la Commissione chiarisce che l’indagine “non riguarda la massoneria come fenomeno associativo in sé, quanto piuttosto la mafia e le sue infiltrazioni nelle associazioni di tipo massonico in Sicilia e Calabria”.
Egidio Morici