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08/01/2018 06:00:00

Il mio botto difettoso per l'anno che è appena cominciato ...

 Le vacanze di Natale, si sa, sono ferie in dodicesimi. Non è vero che i buoni propositi si fanno a Capodanno. Noi siamo quella gente che i buoni propositi e le promesse se le fa il 23 Dicembre, quando non è neanche vigilia, l’Epifania sembra una cosa lontana, e allora ti ripeti il mantra di ogni anno: mi impegno a non mangiare tanto, a sistemare un po’ lo studio, a sbarazzarmi di vecchie carte, a programmare il lavoro bene per il rientro, a finire di scrivere quelle due cose che devo finire da gennaio scorso.

E invece poi arriva la Befana e scopri che hai mangiato a catafottere, come sempre, che l’archivio è più disordinato di prima, che non hai fatto nulla sul quel lavoro fermo da mesi, ma che in compenso hai lavorato tanto, senza capire bene per cosa. E non hai risolto nemmeno una di quelle problematiche presenti alla voce “cose importanti ma non troppo da vedere magari sotto Natale quando ho più tempo” della tua coscienza.

Tra le cose che dovevamo risolvere in redazione in queste vacanze e che, come volevasi dimostrare, abbiamo postergato al prossimo momento di lucidità c’è un annoso problema: quello dei commenti.

Tp24.it da sempre ha dato ampia libertà a tutti di commentare tutto, sia mandando le mail a noi, che poi le pubblichiamo, sia commentando, dopo la registrazione, gli articoli, sia su Facebook, sulla nostra seguitissima pagina. Ogni giorno ci arrivano in media 200 commenti.

Questa “ampia libertà” è stata da me sempre intesa con ecumenismo masochista che rasenta l’idiozia. In redazione, invece, c’è chi sostiene che bisognerebbe porre un freno: troppo veleno, troppa stupidità, quanti insulti.

E adesso devo arrendermi: è vero. L’anno che si è chiuso, il 2017, io me lo ricorderò per questo: per tutti i commenti cattivi, gli insulti, le idiozie. Non solo su Tp24.it, per carità, ma un po' dappertutto. E prima o poi bisogna fare qualcosa. Si, ma cosa?

***

L’ultima notizia del 2017, prima di spegnere il pc, ce l’hanno girata i Carabinieri. Un uomo, a Trapani, è morto folgorato mentre tentava di rubare dei cavi di rame, a Milo. Aveva 34 anni. Una notizia passata quasi inosservata: i furti di rame sono ormai una consuetudine, e rimanere folgorati dai cavi dell’alta tensione è uno dei rischi che si corrono.

Però se uno si ferma un attimo riflette su una cosa devastante: quante fame hai per accettare il rischio di una morte orribile, pur di commettere un furto che ti fa guadagnare pochi euro?

Pensavo questa cosa, quando sono arrivati i primi commenti alla notizia. Il primissimo è del tipo: ben gli sta, a morire così. Il secondo è ancora peggio. Il terzo augura la stessa fine a tutti i ladri. E via postando. Poi arrivano però gli amici dell’uomo folgorato, e cominciano ad insultare anche loro tutti, rimandando al mittente le minacce di morte. Il tutto in un italiano che io non riconosco più, perché non è nè maccheronico nè sgrammaticato, è un’altra lingua, veloce di dita e distopica di pensiero.

Una notizia tragica diventa la solita guerra tra bande. La solita guerra tra bande.

***

A proposito di guerra. L’eroica moglie mia che, nonostante il pancione, spignattava e sbarazzava, per preparare a  casa nostra cenone e accoglienza per San Silvestro, alla mia domanda: hai bisogno d’aiuto, cara? mi ha risposto che non aveva bisogno di nulla, quel pomeriggio del 31, ma se io e la figlia le lasciavamo casa libera per i suoi preparativi, forse era meglio.

Messaggio recepito. Siamo andati a zingarare, io e la figlia, e siamo passati anche dal cinese, perché ad un certo punto ho come avvertito una necessità: volevo comprare dei botti per la mezzanotte.

Ho avuto sempre un grande disinteresse per fuochi, petardi e affini, ripudio la guerra come Costituzione mi insegna, ritengo che regalare armi ai bambini sia un gesto di scadentissima civiltà (e ancora più non sopporto le animatrici che alle festicciole fanno, dopo la torta, nel clima malinconico dei saluti, l’ultimo giochino: palloncini a forma di ali di farfalla per le bimbe, palloncini a forma di mitra per i bimbi….). Però avvertivo quel pomeriggio, la necessità di prepararmi anche io a sparare  qualcosa.

Insomma, con la figlia ci siamo recati nel reparto dei botti. E siamo rimasti lì a contemplarli. La creatura voleva che prendessimo una cosa, costava tipo 50 euro, che credo avrebbe fatto esplodere la veranda di casa. Io, dopo un’attenta valutazione sul rapporto rumorosità dei botti / efficacia luminosa / integrità delle mie falangi, ho preferito tre fontane colorate da cinque euro. E non ero il solo a interrogarmi davanti allo scaffale. Eravamo in tanti. Quanta gente, pensavo, quanti botti.

E poi sono venuti i parenti a casa, per il cenone, e io contento ho detto: ho preparato dei botti per la mezzanotte. Ben tre. E il nipote allora esce una scatola di scarpe. E io ho pensato: cosa avrà il nipote in questa scatola di scarpe. Da un ragazzino puoi aspettarti di tutto: ha un baco da seta, un coniglio, le figurine, magari proprio delle scarpe.
Invece aveva dei botti.
Tanti botti.
Micce, miccette, petardi, e via salendo di intensità e pericolo.

Ovviamente, a mezzanotte quei botti non ci sono arrivati. Abbiamo cominciato a spararli prima. Credo che ogni volta che su Raiuno affacciava Malgioglio, salisse in noi la smania di “petardare”. Poi è spuntata Romina Power, che ha cantato una versione irriconoscibile del Ballo del qua qua. Per la mia infanzia è stato un colpo mortale. Per tutti noi, telespettatori attendenti alla mezzanotte, è stato come un detonatore. Via con i botti in terrazza, e fanculo Raiuno.

Fatto sta che ci siamo affacciati, dalla nostra veranda, che per posizione permette una vista su molta parte della città. E mi sono accorto che già in tanti sparavano. Di tutto: dai razzi di segnalazione, ai fuochi d’artificio, ai colpi di fucile.
E abbiamo cominciato anche noi.
E ho cominciato anche io.

***

Ci lascia questo, l’anno che se ne è andato.
Un rancore che abbiamo dentro e che non sappiamo più domare. Un piccolo mostro che cresce in ognuno di noi.
Siamo diventati amanti dei botti, ci piace la guerra, anche quella di quartiere.
Abbiamo voglia di sfogarci, di far esplodere qualcosa.
C’è chi lo fa sui social, scatenando l’odio dal nulla, c’è chi lo fa a casa.
C’è chi lo fa, paradosso dei paradossi, in nome del politically correct.
Ma è una guerra continua.
Ecco cosa ci lascia l’anno vecchio: una guerra continua.
“Viviamo una nuova guerra mondiale fatta in piccoli pezzi” diceva qualche tempo fa Papa Francesco, commentando i vari conflitti e le tensioni nel pianeta. No, Santità, laicamente, mi permetta: viviamo una nuova guerra mondiale, fatta in millesimi, scomposta nelle aiuole dei nostri giardini, nei balconi dai quali ci affacciamo non più per guardare il mondo, ma per urlargli contro.

***

Ovviamente, i miei candelotti, al cospetto dell’arsenale del nipote, hanno un po’ sfigurato. Come delle educande davanti alle Pussy Riot, per intenderci.
Erano tre, i miei piccoli giochi pirotecnici. Ho dato fuoco loro con perizia (un omaggio a Fabrizio De Andrè: “Chi va dicendo in giro / Che odio il mio lavoro / Non sa con quanto amore /Mi dedico al tritolo”)...
Due si sono accesi. Uno no. Ho provato, riprovato. La fiamma partiva. Poi si spegneva.
Mannaggia.

***

C’era una volta la buona creanza. Pensare, prima di parlare. Fare un bel respiro. Adesso è tutta un’esplosione di sentenze ed epiteti, di giudizi universali, di reazioni sguaiate. Viviamo un Capodanno perenne.

E’ saltato un certo protocollo dello stare insieme, c’è come la smania di vomitare subito tutto il nero che abbiamo dentro, senza ritegno.
Sospendere il giudizio è ormai visto come un atteggiamento da idioti.
Tutti dobbiamo dire subito quello che pensiamo su ogni cosa. E stiamo con chi la pensa come noi. Perché siamo convinti - al di là di ogni ragionevole dubbio - di avere ragione, non fosse altro per un motivo metafisico, perché lo sentiamo dentro.
Tutti sanno come va il mondo.
Tutti vogliono spiegartelo.
Tutti vogliamo sparare qualcosa, con risentimento.

***
Il candelotto “difettoso” non ce l’ha fatto proprio ad accendersi. E’ rimasto lì, ritto sul davanzale, con un certa fierezza.
Sembrava dirmi: vorrei soltanto un po’ di silenzio, per questo 2018.
Vorrei sospendere il giudizio. Smorzare la miccia, disperdere la polvere pirica.
Un po’ di irrilevanza.
Vorrei un po’ di silenzio.

Giacomo Di Girolamo