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19/04/2018 06:00:00

Trattativa Stato-Mafia, entro sabato la sentenza. Come finirà?

Sono chiusi in camera di consiglio i giudici della Corte d'Assise di Palermo presieduta da Alfredo Montalto. Entro sabato emetteranno la sentenza al processo sulla trattativa stato-mafia.   Ad istruire il dibattimento iniziato nel maggio del 2013 è stato il giudice Nino Di Matteo (oggi alla DNA, Direzione Nazionale Antimafia) insieme a Roberto Tartaglia, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Antonio Ingroia che, nel frattempo, ha lasciato la magistratura.  Secondo l’accusa uomini delle istituzioni si sarebbero accordati con Cosa Nostra per mettere fine alle stragi del '92 e il '93 in l'Italia.   Gli Imputati - Sono imputati assieme agli ex vertici del Ros dei carabinieri Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, i boss di Cosa Nostra Antonino Cinà e Leoluca Bagarella, il collaboratore di giustizia Giovanni BruscaRiina e Provenzano che sono deceduti, il primo a novembre del 2017 e il secondo a luglio del 2016. Altro imputato è l'ex senatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri.   Tra gli imputati del processo sulla trattativa anche Massimo Ciancimino. Il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo è il testimone chiave ma accusato di concorso in associazione mafiosa. Ancora, tra gli uomini delle istituzioni, è, invece, imputato, l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza, e Calogero Mannino che, rinviato a giudizio, scelse il rito abbreviato e nel 2015 è stato assolto.   Le parti civili  - Si sono costituiti parte civile al processo sulla trattiva l'associazione vittime della strage dei Georgofili, la presidenza del Consiglio dei ministri, la presidenza della Regione siciliana, il Comune di Palermo, il Centro studi Pio La Torre, l'ex capo della Polizia Gianni De Gennaro e l'associazione Libera.   Napolitano e le polemiche  - Un processo lungo quasi 250 udienze, con l’audizione di oltre duecento testimoni, tra i quali l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che depose quando era ancora in carica il 28 ottobre 2014.
Processo difficile, con le polemiche scaturite proprio dalle telefonate intercettate fra l’ex ministro Mancino e il Capo dello Stato, distrutte e dunque rimaste segrete dopo il conflitto di attribuzione fra poteri, sollevato dallo stesso Napolitano, ed ancora quelle sulle conversazioni fra Mancino e Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del Colle. Finito al centro di polemiche e contrasti istituzionali, accusato di «intelligenze col nemico», D’Ambrosio è morto d’infarto, nell’estate del 2012.   Riina e Provenzano  -  A gennaio scorso nella sua requisitoria il pm Vittorio Teresi ha affermato che l'arresto del boss Salvatore Riina e la mancata perquisizione del covo di via Bernini sono il frutto di un compromesso vergognoso, noto solo a poche persone tra cui gli imputati Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni.   Il pm ha spiegato che "il dialogo e la trattativa portata avanti dal Ros è un segreto sigillato e conosciuto da pochissime persone. Non ne furono partecipi le istituzioni e i magistrati che indagavano sulla criminalità organizzata e che sostenevano quella linea della fermezza secondo la quale non si poteva scendere a compromessi con Cosa nostra". Secondo l'accusa, nel processo sulla trattativa, Riina venne "consegnato" ai carabinieri dall'ala di Cosa nostra vicina a Bernardo Provenzano. L'ipotesi è che Riina, con cui i militari del Ros imputati al processo avevano intavolato un dialogo finalizzato a far cessare le stragi, era ritenuto un "interlocutore" troppo intransigente. Perciò gli si sarebbe preferito Provenzano, fautore della linea della sommersione, e lontano dall'idea del "papello", l'ultimatum che Riina avrebbe presentato allo Stato tramite i carabinieri. "Era chiaro che tutto questo doveva essere tenuto segreto - ha spiegato Teresi - e dopo la cattura di Riina e l'uscita di scena anche di Ciancimino le linee dell'accordo sono chiare e si passa ai fatti".   Le richieste di condanna per gli imputati - 15 anni di carcere sono stati chiesti per il generale Mario Mori, ex comandante del ROS e direttore del Sisde. Per i membri del Ros Antonio Subranni e Giuseppe De Donno sono stati chiesti 12 anni ciascuno. Secondo l’accusa Mori e Subranni, col colonnello Giuseppe De Donno, si sarebbero piegati alle richieste di Cosa nostra, avrebbero in qualche modo incoraggiato le azioni violente della mafia, seguite alla sentenza del maxiprocesso che aveva abbattuto boss e manovalanza. Stessa pena, 12 anni, sono stati chiesti per Marcello Dell'Utri, ex senatore di Forza Italia e considerato referente politico dei boss dopo l'arresto dell'ex sindaco Vito Ciancimino.   Per l’ex ministro ed ex presidente del senato Nicola Mancino la richiesta è di 6 anni. Avebbe reso falsa testimonianza ai giudici del processo in cui Mori era imputato di favoreggiamento alla mafia. Per il boss Leoluca Bagarella sono stati chiesti sedici annidodici anni per Antonino CinàPer Giovanni Brusca e Massimo Ciancimino, sono state invocate le prescrizioni del reato. Per i giudici il contributo a Cosa Nostra di Ciancimino sarebbe terminato nel 1993, quando insieme al padre Vito e a Bernardo Provenzano, avrebbe fatto arrestare Totò Riina.

Per Ciancimino, teste mai totalmente creduto ma mai considerato del tutto attendibile i pm hanno chiesto 5 anni per calunnia aggravata nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro.  Sapremo tra poche ore come finirà questo processo e quali verità avrà accertato. Una vicenda giudiziaria che, per la prima volta vede accusati nello stesso procedimento, da una parte uomini dello Stato, processati da altri uomini dello Stato, e dall'altra i boss di Cosa nostra. Come finirà? sentenza  bomba o meno in arrivo, il dubbio se mai si riuscirà a far luce su quanto accadde veramente in Italia agli inizi degli anni '90 rimane.