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20/04/2018 06:43:00

Mafia, retroscena di "Anno Zero". Quei due che "giustificano" l'omicidio di Di Matteo

  

-       “… Allora ha sciolto a quello nell’acido… Non ha fatto bene? Ha fatto bene”-

-       “Se la stirpe è quella ... Suo padre perché ha cantato?”

 

A parlare sono Vittorio Signorello e Giovanni Ligambi. Il primo è uno dei 21 arrestati nell’operazione “Anno Zero”, l’altro è quell’imprenditore già condannato per aver coperto delle singolari estorsioni a suo danno.

L’occasione è un breve viaggio in macchina, in cui commentano la recente morte di Totò Riina e la sua decisione in riferimento ad una delle vicende più crude che nel 96 ha scioccato l’opinione pubblica: l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del boss Santino che per primo rivelò i retroscena della strage di Capaci. Strangolato e sciolto nell’acido.

 

Secondo Signorello la ritorsione di Riina sarebbe stata proporzionata al pentimento del traditore, colpevole di aver procurato pesanti danni all’associazione mafiosa: “… Giusto è? Punto... ha rovinato mezza Palermo quello... allora perfetto. Perché i cavalli perché li aveva? Grazie a quello… tu sei tu... eh... è pentito... va bene, a posto”.

Ligambi risponde a tono: “Dico… il bambino è giusto che non si tocca, però, aspetta un minuto... perché se no a due giorni lo poteva sciogliere... Settecento giorni sono due anni. Tu perché non ritrattavi tutte cose? Se tenevi a tuo figlio... Allora sei tu che non ci tenevi”.

Il “punto di vista” sembra chiaro, nella sua orribile logica: vista la lunghezza della prigionia del bambino, il padre avrebbe avuto il tempo per decidere di ritrattare tutto.

Ma non l’ha fatto. E dunque, secondo Signorello, Riina avrebbe preso la “giusta” decisione: “Giusto! perfetto! E allora... fuori dai coglioni – rincara - dice: ‘io sono in una zona segreta, sono protetto, non mi possono fare niente’, sì a te... Però ricordati, coglione, che una persona la puoi ammazzare una volta, ma la puoi far soffrire un mare di volte. E allora no, minchia... pe... pe... meglio morire che non ... Allora, lui ha fatto la sua scelta e quello ha fatto la sua. No… quello gli rompeva i coglioni… perfetto… così... così... lo vedi com’è ora?

Ma l’orrore ha colpito indelebilmente tutti. E prima di conoscere questo ignobile dialogo, nessuno avrebbe potuto mai immaginare l’esistenza di persone che, dopo più di vent’anni, potessero ancora sostenere una logica così feroce.

 

Vittorio Signorello, secondo l’accusa, fa parte della famiglia mafiosa di Castelvetrano, per avere collaborato con  Gaspare Como, cognato del latitante a capo della famiglia mafiosa dei Messina Denaro e del relativo mandamento. Avrebbe veicolato costantemente le informazioni tra il Como e  Vincenzo La Cascia mafioso di Campobello di Mazara (e zio di Lillo Giambalvo, l’ex consigliere comunale di Castelvetrano, fan di Matteo Messina Denaro). Avrebbe organizzato incontri riservati, messo a disposizione la sua casa al mare, preso parte alle riunioni con altri esponenti di Cosa nostra, occupandosi anche di armi, e di ritorsioni.

 

Giovanni Ligambi è l’altro conversatore. Non è tra gli indagati in questo procedimento. E’ un imprenditore, che però ha una sua particolare storia. Secondo gli investigatori, avrebbe prodotto fatture di costi fittizi per l’ottenimento del finanziamento pubblico di 7 milioni di euro, nella presunta mega-truffa ai danni dell’Unione Europea. Ne avevamo parlato QUI. Ma con l’Ediltupina, aperta nel settembre del 2009, Ligambi crea una sorta di assuntificio. Un’impresa che, nel 2014 arriverà a contare addirittura 141 dipendenti, in base ai relativi dati Inps riportati dagli inquirenti. Un numero altissimo, probabilmente collegato con la possibilità di percepire l’indennità di disoccupazione. Ed è con questo sistema che cercherà di pagare un’estorsione subita dai fratelli Cacioppo (poi condannati per mafia nell’operazione Eden 2). Non a caso, tra il suo “personale” figuravano anche i fratelli Cacioppo, che non avevano gradito il suo ripensamento nell’acquistare la loro pizzeria e volevano farlo fuori per 30 mila euro. Estorsione negata anche alla polizia che lo aveva chiamato per avere conferme sugli autori, finendo condannato per favoreggiamento.

 

Al di là dei protagonisti, di questo dialogo rimane una frase odiosa: “La stirpe è quella”. 

Una frase che fa pensare alla soluzione finale nazista. A quella “banalità del male” di cui aveva parlato Hannah Arendt, osservando Eichmann non provare alcun rimorso di coscienza per aver provocato sofferenza. Proprio come Brusca e gli altri mafiosi che hanno strangolato e sciolto nell’acido il piccolo Di Matteo. In entrambi casi è come se avessero solo fatto il proprio dovere, senza infrangere le regole, quelle del Nazionalsocialismo da un lato e quelle della mafia dall’altro.

Un’assenza di consapevolezza che smarrisce ancora di più, perché anche il male più terribile diventa solo uno scopo, giustificato strenuamente anche a vent’anni di distanza.

 

Egidio Morici



Native | 2024-04-25 09:00:00
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