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02/06/2018 11:11:00

Sull’arte nel tempo dei linguaggi digitali

di Giacomo Cuttone

Le nuove tecnologie non sono un fine ma un mezzo
e un cominciamento. Bisogna ricercare le loro
negatività perché esse possano andare più lontano.
Paul Virilio

Il mondo dell’arte è sempre stato molto attento agli avanzamenti tecnologici, basti pensare alla pittura a olio e alla tela (che hanno rivoluzionato sin dal Quattrocento, il modo stesso di realizzazione dell'opera artistica), alla xilografia, all’incisione, alla litografia ed alla serigrafia (tecniche che consentono la riproducibilità dell’opera e che, inizialmente, sono state utilizzate per illustrare i libri o per realizzare i primi manifesti pubblicitari; oggi considerate tecniche espressive a tutti gli effetti e le loro copie/tiratura, autografate dall’artista, hanno carattere di originalità).

Nel 1816 nasce la fotografia: Il dipinto non poteva raggiungere la stessa oggettività della foto e generi come la paesaggistica e la ritrattistica scomparirono, ma questa crisi spinse gli artisti verso l’esplorazione della soggettività e dei limiti del proprio medium.
Dal XIX secolo in poi l’arte sarà continuamente scossa dalla tecnologia, che fornirà sempre nuove possibilità espressive e con queste porterà con sé, di volta in volta, dibattiti sulla loro legittimità di nuove forme d’arte. L’ultimo di questi grandi sconvolgimenti, iniziato negli anni Sessanta e tuttora in atto, è stato causato dall’avvento del digitale, che con il suo impatto ha generato nuovi tipi di arte contemporanea.

Nonostante tutti questi sconvolgimenti l’arte espressa con mezzi tradizionali continua ancora oggi a prodursi; si è allargato semplicemente il campo delle tecniche espressive.
Walter Benjamin fu tra i primi ad accorgersi di questi cambiamenti e con il saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” espose le sue riflessioni in proposito. Il filosofo si pone un problema che nell’era digitale è ancora più attuale: l’impatto della riproducibilità tecnica sul concetto di opera d’arte, la quale, potendo essere duplicata, perde la sua unicità, la sua aura (alone di sacralità). Nell’ottica marxista questo è un processo positivo, in quanto l’opera perde il suo aspetto cultuale, e quindi elitario, guadagnando nell’aspetto espositivo, che la avvicina alle masse. L’aura non è quindi ciò che rende l’opera d’arte tale, ma solamente un aspetto sociale.

La riproducibilità tecnica, da non confondere con la riproducibilità tout court, permette di creare repliche indistinguibili dall’originale (a differenza dei falsi pittorici, che sono comunque riproduzioni) senza alti costi: adesso l’arte poteva davvero entrare nelle case di tutti. Tuttavia questa previsione non si è avverata del tutto, infatti per quanto riguarda le belle arti ci sono stati solamente dei tentativi falliti (si pensi al ready-made e alla Pop Art). Il fallimento della democratizzazione delle belle arti è più da cercare nel suo sistema economico che nei media utilizzati.

L’arte contemporanea ha sempre teso all’ibridazione, tanto da sperimentarla a livello analogico, riscontri di questo tipo si possono già individuare negli happening e in Fluxus (2). Questa nuova forma artistica è uno dei primi esempi di multimedialità in quanto unisce teatro, musica e performance. Operazioni simili sono compiute dagli artisti che parteciparono a Fluxus, l’idea era quella di trovare una modalità di fare arte, usando nuove connessioni tra musica, poesia, arti visuali, danza, teatro, aprendosi a una multiformità di generi, il tutto con uno spirito giocoso, quasi futurista. L’arte dei fluxers è uno splendido esempio di arte dei nuovi media senza nuovi media, e pone le basi di ciò che poi verrà fatto con le tecnologie digitali, quello che manca è la riproducibilità tecnica.

Nell’arco di pochi decenni il dominio del video, rimedierà l’insieme dei media visuali, del design e perfino delle performing arts suscitando visioni sempre più ampie, ricche e complesse, allargando l’orizzonte del visibile e pervenendo a una raffinata capacità di sondare nel profondo, verso quello che è stato definito “l’occhio della mente”. Le video-installazioni, sviluppate nel corso degli anni come ambienti globali che assorbono lo spettatore sia a livello visivo che sonoro, impiegano le più raffinate tecnologie e s’impongono per la precisione e l’immediatezza realizzate nell’avvolgere lo spettatore in impressioni estremamente sensoriali e, allo stesso tempo, nell’offrirgli ambienti mediativi.

Nascono i collettivi video politici che adottano il video come mezzo di controinformazione, comunicazione dal basso e attivismo. Queste pratiche aumenteranno agli inizi degli anni ottanta quando i costanti progressi tecnologici, offriranno mezzi sempre più flessibili e meno costosi. I videoartisti, confrontandosi con la società dei consumi, mutueranno questo spirito critico in una visione ironica e parodiante, commisurando agli spunti di lettura e analisi critica un’attenzione maggiore al linguaggio e alle più recenti tecniche disponibili, lavorando quindi sull’impatto che l’impiego delle moderne tecnologie porta con sé.

La fruizione dell’operazione artistica è comunque ancora esclusiva, sia perché vengono esplicitamente invitati a prendervi parte uomini di mestiere sia perché la diffusione del pc e della tecnologia necessaria è ancora limitata, e l’opera è collocata all’interno degli eventi e degli spazi convenzionali dell’arte contemporanea.
Questi anni di transizione in cui l’elettronica e poi il digitale prenderanno sempre più piede vedono un passaggio di testimone tra il video e il computer.
Lo spirito di protesta della Videoarte (3), infatti, scemerà negli anni successivi, per travasarsi nella Net.art (esperimenti artistici che, sfruttando la rete, rende indistinguibile il mondo reale da quello virtuale)(4).

Un secondo filone della Net.art, fra i più longevi e vari è l’Ipertesto (5). Le opere ipermediali sono il primo esempio di modularità e di interazione, il lettore ha un ruolo attivo e contribuisce direttamente a un’opera d’arte che assume forma in base alle sue scelte.
Ogni qual volta nasce un nuovo medium, questo imita quelli preesistenti per essere riconosciuto; i primi tentativi di nobilitazione della fotografia sono stati fatti da artisti che hanno prodotto foto che imitavano i quadri dell’epoca. Lo stesso avviene con le opere digitali. Se guardiamo, per esempio, per rimanere nel nostro territorio e per ricordarne la figura, i primi lavori digitali prodotti dal primo artista (amico recentemente scomparso) ad aver fatto arte digitale a Marsala, Vito Linares, non sono altro che i suoi collages e i suoi dipinti realizzati con il computer.

Con gli anni, poi, è riuscito a mettere nelle sue opere “tutta la sua esperienza, la sua folle saggezza, tutta la sua vita di sperimentatore cromatico e delle forme” (6).
Voglio qui, tuttavia, evidenziare alcune contraddizioni presenti fra gli “artisti del mouse”.

• molti credono di fare “avanguardia” solamente per aver fatto uso dell’innovazione tecnologica;
• un’arte che nasce “liquida” va “esposta”, secondo me, utilizzando un monitor, come ha fatto, per esempio, l’artista mazarese Peppe Denaro (7); perché c’è l’esigenza da parte degli artisti di stamparla su tela o su carta? Un file fruito su monitor ha una sua luce che è quella creata dall’artista e la stessa luce non la troviamo più nella stampa su un supporto diverso;

• gli artisti digitali attingono molto dalla rete ma, poi, si pongono il problema del “copyright” per paura che le proprie opere vengano “rubate”… in rete.
Nell’arco degli anni il confine tra cosa è arte e cosa non lo è si è sempre più assottigliato e si sono dovute rivedere le stesse definizioni di medium e arte, la Net.art ne è un esempio: sul web qualunque cosa può assumere valore artistico, e non è la sua unicità a renderla tale perché può essere copiata, né l’autorialità perché spesso l’opera è partecipativa, ma l’idea.
Il web, e in generale i nuovi media, hanno sicuramente cambiato il concetto di arte, le hanno dato infinite nuove possibilità, fino alla creazione di una realtà alternativa frutto della convergenza fra mondo esterno e medium.

Adesso voglio mettere in risalto due pregiudizi nei confronti dell’arte digitale :
• La diffidenza, fondata sull’ignoranza e sul timore dell’innovazione tecnologica;
• l’enfasi, basata sull’ingenua o strumentale convinzione che l’innovazione tecnologica costituisca automaticamente un’innovazione espressiva e artistica.
Pasolini avvertiva che “non bisogna confondere l’idea di progresso con l’idea di sviluppo”(8); infatti, lo sviluppo tecnologico non garantisce automaticamente il progresso sociale, culturale e artistico.
L’arte trasforma la tecnica in un linguaggio, non viceversa. Il compito dell’arte è quello di dare forme al pensiero, senza una forte identità e coerenza espressiva la tecnica diventa autoreferenziale e finisce per prevalere sul linguaggio e, quindi, sul pensiero.

Per concludere, tengo a precisare che, pur facendo arte utilizzando mezzi espressivi tradizionali, non escludo, a priori, l’uso di mezzi espressivi “innovativi”. A conferma di quanto detto cito l’esperienza che mi ha coinvolto di “Noi Rebeldìa” (9), un’esperienza collettiva a montaggio intersemiotico nata e cresciuta in rete che, abbandonata la rivendicazione autoriale e autoreferenziale, va nella direzione di un “noi” artistico; uno sguardo tagliente e profondo contro la cosiddetta valorizzazione dei “linguaggi” da parte del capitale che, di fatto, tende a dominare Internet e a controllare il cyberspazio .

Il computer è un cappello magico da cui può uscire di tutto. Internet ha spazzato, sicuramente, via i confini tra suono, scrittura e immagine e la “riproducibilità” tecnica segue due direzioni: l’utilizzazione in senso democratico e la sua potenzialità distruttiva. Dipende dall'uso che ne facciamo e dipende tutto dalle armi critiche che possediamo, se le possediamo.
Giacomo Cuttone

Note:
1) Relazione tenuta il 31 Marzo 2018, nell’ambito degli “Approdi culturali”, aventi come tema centrale “Capire le parole, le parole e le cose – L’alfabeto di Tullio De Mauro”, organizzati da “Arts gallery” di Angela Ruggirello e Sal Giampino (Via Rapisardi, Marsala) dal 10 marzo al 19 maggio 2018 . I relatori, oltre al sottoscritto, sono stati: Antonino Contiliano e Fabio D’Anna, “Ricordando Tullio De Mauro, lingua, economia e bio-politica”; Gregorio Caimi, “Pluralità dei linguaggi musicali”; Claudio Forti, “I luoghi del teatro: reazioni e condizionamenti del/sul pubblico”; Giovanni Lombardo, “Dai consigli di fabbrica ai collettivi del nuovo secolo”; Rino Marino, “Il teatro della follia”; Renato Polizzi, “La narrativa ai tempi del cloud”; Francesco Vinci, “Poesia senza critica. Critica senza poesia”; Salvatore Giampino, “Parole, segni, suoni in Advertising”; Massimo Pastore, “Teatro desiderio e potere”; Antonino Contiliano e Marco Marino, “Enunciati e potere in Edipo re”.
2) Movimento artistico, costituitosi nel 1962, ma già operante sul finire degli anni 1950, i cui aderenti, di varie nazionalità, si riconoscono nelle posizioni intellettuali di George Maciunas.
3) Possiamo identificare nella seconda metà degli anni sessanta il momento della nascita della Videoarte.
4) Le prime opere di Net.Art, che possiamo qualificare storiche per la risonanza che esse hanno conosciuto e la loro qualità artistica, estetica e tecnica, sono apparse sul Web nel 1994.
5) Il termine hypertext fu coniato da Ted Nelson (1965), che ipotizzò un sistema software in grado di memorizzare documenti, articoli, annotazioni e informazioni varie, consentendo sia allo scrittore, sia al lettore di costruire percorsi preferenziali e di ‘navigare’ il più possibile rapidamente nella rete informativa costituita dall’insieme dei documenti interconnessi.
6) Sal Giampino in “Vito Linares portrait! A San Pietro. Emozioni senza condizioni”, www.marsalace.it (11 Dicembre 2009).
7) “Frammenti nella nebbia” al Castello normanno-svevo di Salemi e alle Cantine Florio di Marsala (2015), mostre presentate da Gianna Panicola. In merito alla scelta del medium, l’artista ha affermato: “Mostrare i quadri digitali nel monitor è il modo migliore per rendere giustizia al quadro digitale che ha la sua ragion d’essere proprio nel cyberspazio”.
8) “Sviluppo e progresso” in “Scritti corsari” (1975).
9) “Noi Rebeldìa” ha prodotto : ”We Are Winning Wing” (retididedalus.it, 2010 e in versione cartacea ed. CFR, 2012); “L’ora Zero” (retididedalus.it, 2013 e in versione cartacea ed. CFR, 2014), e i testi multimediali “Guevara goguEr” .