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16/07/2018 12:05:00

Il caso che coinvolge Di Maio, il Mef e l’Inps


È scoppiato un caso politico tra il ministro del Lavoro Di Maio, il ministero dell’Economia (Mef) e l’Inps per il cosiddetto decreto dignità, il provvedimento del governo entrato ufficialmente in vigore sabato scorso che contiene una serie d’interventi sul lavoro.

Motivo delle polemiche: nella relazione tecnica che ha accompagnato il decreto a un certo punto è scritto che il decreto stesso farà perdere ottomila posti di lavoro all’anno per 10 anni. La relazione tecnica è un documento che accompagna i decreti valutandone l’impatto sui conti dello stato e sull’economia, ed è redatto dalla Ragioneria generale dello Stato, un organo che dipende dal ministero dell’Economia.

Già sabato Di Maio ha smentito i numeri con un video su Facebook nel quale ha spiegato che il dato «è comparso nella relazione tecnica che accompagna il decreto la notte prima che fosse inviato al presidente della Repubblica», negando che sia stato richiesto da alcun ministero.

Secondo il ministro del Lavoro, quei posti che si perderanno saranno a tempo determinato, e saranno compensati dai nuovi contratti a tempo indeterminato. «Questo decreto dignità ha contro lobby di tutti i tipi» ha detto Di Maio: «Il mio sospetto è che questo numero sia stato un modo per cominciare a indebolire questo decreto e per dare modo di fare un po’ di caciara». Poi ieri pomeriggio Di Maio e il ministro dell’Economia Tria hanno diffuso un comunicato congiunto in cui smentiscono uno scontro tra ministeri e attribuiscono le responsabilità all’altro istituto coinvolto nella polemica, l’Inps. In effetti, sulla base delle procedure abituali seguite dalle relazioni tecniche, i calcoli nascono dalle banche dati dell’Inps e dalle elaborazioni dei tecnici del ministero proponente (il Mef in questo caso). Il comunicato di Di Maio e Tria aggiunge poi che la stima degli ottomila posti è «priva di basi scientifiche» e «discutibile» secondo il ministero dell’Economia. La reazione del presidente dell’Inps Tito Boeri non si è fatta attendere: «È un attacco senza precedenti alla credibilità di due istituzioni nevralgiche per la tenuta dei conti pubblici nel nostro paese e in grado di offrire supporto informativo alle scelte del Parlamento e all’opinione pubblica –  ha detto Boeri – Nel mirino l’Inps, reo di avere trasmesso una relazione “priva di basi scientifiche” e, di fatto, anche la stessa Ragioneria Generale dello Stato che ha bollinato una relazione tecnica che riprende in toto le stime dell'Inps”. Da Mosca, dove stava assistendo alla finale dei Mondiali, Matteo Salvini ha sferrato l’ennesimo attacco contro Boeri, chiedendone di fatto le dimissioni: «In un mondo normale se non sei d’accordo con niente delle linee politiche, economiche e culturali di un governo e tu rappresenti politicamente, perché il presidente dell’Inps fa politica, un altro modo di vedere il futuro, ti dimetti». Il presidente dell’Inps, in scadenza comunque il prossimo febbraio, non ha nessuna intenzione di dimettersi: «Mi caccino», ha detto. Anche se, secondo la Stampa, farebbe subito le valigie se glielo chiedesse direttamente Conte.

Il vero obiettivo dell' attacco di Di Maio è però, secondo Repubblica, il ministro Tria. «Quando al mattino Luigi Di Maio alza il telefono per chiamare Giovanni Tria, i suoi toni sono ultimativi. Per andare avanti, il vicepremier ha bisogno di sapere che in via XX settembre non c’è nessuno che gli rema contro. Che non spuntino “manine” che chiedano ulteriori verifiche all’Inps senza che il ministero del Lavoro ne sia informato. Che non ci siano funzionari che invece di rispondere alla maggioranza giallo-verde, agiscano in continuità con i governi precedenti. “Chi lo ha nominato questo ministro? — chiedeva ieri furente ai fedelissimi il leader M5S — chi lo ha convinto che, senza neanche un parlamentare, possa fare quello che vuole?”». Ma dietro Tria ci sono il Quirinale e Mario Draghi...