Ragazza di 17 anni segregata e insultata dai genitori perché omosessuale
«Mi dicevano che non dovevo frequentare le donne e che dovevo uscire, invece, solo con i ragazzi, con gli uomini. Perché non potevano sopportare di avere una figlia lesbica». Per settimane Patrizia (la chiameremo così) 16enne all' epoca dei fatti, è rimasta chiusa in casa contro il suo volere.
La giovane si era innamorata di una coetanea e i genitori, scoprendo la relazione, le hanno impedito di uscire per mesi, privandola di qualsiasi strumento per comunicare all' esterno. Questa vicenda inizia all' incirca un anno fa ad Albano, un piccolo Comune in provincia di Roma, e solo a metà settembre la ragazza riesce a denunciare tutto. Della vicenda si è occupato l' Oscad, l' Osservatorio di polizia e carabinieri contro le discriminazioni.
Ora la giovane è stata trasferita in una struttura protetta per i minori e sta cercando di recuperare il tempo perso anche sul fronte della didattica, mentre il commissariato di Albano ha trasmesso un' informativa alla procura di Velletri che sta procedendo con le indagini ipotizzando, a carico della madre, i reati di maltrattamenti in famiglia e sequestro di persona.
«Non avevo più un tablet né la scheda del cellulare, sono stati momenti terribili», ha raccontato la giovane. Agli occhi dei suoi genitori Patrizia non poteva essere lesbica. La sua sessualità non era compresa, accettata.
A denunciare ieri pubblicamente il caso è stato il Gay center a cui proprio la ragazza si è rivolta per chiedere aiuto. L' incubo a detta della giovane inizia quando i genitori la madre soprattutto una volta scoperta la relazione omosessuale con un' altra ragazza, le proibiscono qualsiasi contatto con l' esterno, impedendole finanche di andare a scuola.
«Mi dicevano che ero sporca», ha detto la giovane agli operatori del Gay center e poi alle autorità. Giorni, settimane e mesi trascorsi in questo modo sotto gli occhi della sorellina più piccola. Quando i genitori uscivano ricorda Fabrizio Marrazzo, portavoce del Gay center la chiudevano in casa.
Portavano via le chiavi e chiudevano la porta a doppia mandata, non solo: la svegliavano anche di notte aggredendola verbalmente per la sua omosessualità». Tutta la ricostruzione dei maltrattamenti è ora al vaglio degli inquirenti così come la posizione del padre.
Per mesi la giovane ha provato a parlare e a spiegare ma di fronte si è trovata solo un muro e incapace di sopportare la situazione, ha provato a scappare di casa, riuscendoci. Si reca dalle forze dell' ordine per denunciare le vessazioni subite in famiglia. «Ma invece di metterla in protezione continua Marrazzo le autorità l' hanno riaccompagnata a casa dicendole di non preoccuparsi e riconsegnandola così alla famiglia».
Giorni terribili ricostruisce ancora la giovane, trascorsi in casa, senza la possibilità di incontrare i suoi amici, i suoi compagni di scuola e senza la possibilità di comunicare con l' esterno se non di nascosto attraverso la rete wi-fi. Solo a distanza di qualche giorno dal primo tentativo di fuga, la ragazza scappa nuovamente e a quel punto contatta il Gay center.
«Si è messa in contatto con noi conclude Marrazzo attraverso il nostro servizio Gay help line, che ci ha permesso di muoverci per metterla in protezione. Quanto accaduto è molto grave; è importante approvare al più presto una legge contro l' omotransfobia, che preveda anche la formazione per il personale pubblico per evitare episodi di discriminazione e pregiudizio anche da parte di funzionari pubblici come accaduto alla giovane ragazza».
Camilla Mozzetti per “il Messaggero”
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