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15/11/2018 06:00:00

Ecco perché la riforma della prescrizione dei 5 Stelle è un danno ai cittadini

 La proposta di sospendere la prescrizione, dopo il primo grado di giudizio, annunciata dal Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede riduce i tempi del processo?

E’ questa la domanda, la sola, a cui bisognerebbe tentare di dare una risposta per definire un giudizio su questa proposta, evitando ogni lettura ideologica. Bene, come magistralmente spiegato da non pochi giuristi, su tutti il Professor Padovani, la proposta pentastellata altro non è che una proposta del tutto ideologica, frutto di una Giustizia che, nel caso dei grillini, diventa un cappio agitato. La prescrizione, che altro non è che il periodo di tempo entro il quale lo Stato ha interesse ad esercitare la sua potestà punitiva, è un istituto giuridico cardine del garantismo e della cultura giuridica liberale: nessun cittadino può rimanere, per tutta la vita o per periodi infinitamente lunghi, in attesa di una punizione o comunque oggetto di accertamenti giudiziari, e ciò per infinite ragioni, non ultima quella che un accertamento dopo un arco di tempo assai lungo troverebbe un uomo certamente diverso da quello che ha compiuto un reato. Detto ciò, chiunque abbia un minimo di dimestichezza con le aule di Tribunale sa bene che quanto ripetuto sulla prescrizione dai vari Bonafede, Di Maio e Di Battista non corrisponde al vero.

 

 

Che i processi si prescrivono a causa dei cavilli esercitati dagli avvocati è falso: anzitutto, quelli che sono chiamati cavilli sono – spesso – diritti che devono essere sempre tutelati ma soprattutto, nella maggior parte dei casi, alle richieste di rinvio dei difensori si applica la sospensione dei termini di prescrizione. La verità, invece, è un’altra: la maggior parte dei procedimenti penali giunge in aula già prossima alla prescrizione, e questo perché in Italia si celebrano troppi processi, per ogni fattispecie, anche per quelle più residuali, con ciò caricando, oltremodo, di lavoro le forze di Polizia Giudiziaria e gli uffici della Procura. Ma questo né il ministro Bonafede né il vicepremier lo dicono.

Che i processi per reati gravissimi si esauriscano spesso per prescrizione è altrettanto falso: la prescrizione (che si calcola tenendo conto del massimo della pena prevista per il reato di cui si tratta) per molti dei reati più gravi e di maggiore allarme sociale è già lunghissima (così nei casi di violenza sessuale, bancarotta, omicidio colposo…) perché altissime sono le pene massime stabilite.

Che aumentare ulteriormente il termine di prescrizione accorci il processo è, dunque, falso, per alcune semplici ragioni: con il sistema processuale attualmente in vigore, con i tempi attuali del processo e con l’obbligatorietà dell’azione penale aumentare i tempi di prescrizione altro non significa che dilatare ulteriormente il processo, perché verrebbe a cadere l’ultimo spauracchio, che è appunto quello della prescrizione. Se, infatti, so che un processo può durare in eterno, non trovo ragione perché debba accelerarne l’iter. In breve: è come se per ovviare al traffico di una città si decidesse di aumentare i semafori e fare durare il rosso più a lungo: non si otterrebbe un traffico più gestibile ma un traffico ancor più caotico. Ecco, perché gli strumenti da utilizzare sarebbero del tutto diversi, ma temo difficili da gestire mediaticamente da questa compagine governativa che si nutre di semplificazioni e slogan.

Sarebbe necessaria, anzitutto, una vasta opera di depenalizzazione di fattispecie penali che, oggi, non trovano più alcuna ragione di economia processuale: nelle aule di Tribunale, quotidianamente, si assiste ad uno stillicidio di procedimenti penali per vicende che potrebbero trovare esiti più soddisfacenti in ambito civilistico o amministrativo: questo comporterebbe, però, una enorme assunzione di responsabilità da parte del governo che dovrebbe spiegare come il diritto penale dovrebbe essere l’ultimo baluardo e non la prima scelta dello Stato per qualunque problema da risolvere. E’ come per la piccola criminalità: numerosi studi criminologi hanno dimostrato come la prevenzione e la cura socio-economica dei quartieri incida più di inutili aumenti di pena che non hanno alcun effetto deterrente, spesso, su criminali recidivi o su chi non ha nulla da perdere. Sarebbe necessaria dunque una consistente diminuzione del numero dei processi per giungere ad una consistente diminuzione dei tempi di ogni processo. In definitiva, un diritto penale minimo.

Si potrebbe ragionare, perfino, pur con i piedi di piombo, del superamento del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale, che già oggi, di fatto, si risolve comunque in una scelta discrezionale dei singoli uffici delle procure: si potrebbe, infatti, prevedere che i singoli uffici non siano obbligati ad aprire fascicoli di indagine a seguito di ogni denuncia o esposto (basti pensare alla miriade di procedimenti penali funzionali ai giudizi civili, per esempio) ovvero per fatti che sono del tutto irrilevanti.

Queste riforme, peraltro, non sono riforme fantascientifiche, ma sono accorgimenti esistenti in quei paesi che oggi sono indicati, come esempio di paesi in cui la prescrizione è interrotta e sospesa: è vero, lo è, ma il numero dei processi è quasi la metà di quello del nostro Paese, non c’è sempre l’obbligatorietà dell’azione penale, senza peraltro ricordare che la durata delle indagini preliminari, nella maggior parte dei Paesi europei, non è soggetta a proroghe (spesso automatiche) richieste e concesse dal Giudice delle Indagini preliminari.

C’è una ulteriore evidenza che trasformerebbe la sospensione della prescrizione, senza una riforma complessiva del processo, in una beffa ai danni del cittadino: sarebbe del tutto evidente che un indagato o imputato ricco avrebbe maggiore facilità a resistere ad un processo lungo, viceversa un cittadino non benestante subirebbe, da un procedimento senza mai fine, un danno economico non certo indifferente, con ciò che ne consegue anche per la scelta del difensore da cui farsi assistere.

 

 

Chi scrive ha sempre avvertito l’esigenza, come avvocato, di non chiudersi nel fortino, spesso consolatorio, delle proprie associazioni di categoria in una spesso faticosa, quanto inutile, gara con la magistratura, e pur tuttavia ritengo che la prossima astensione indetta dalle Camere Penali, proprio sulla prescrizione, sia sacrosanta, perché in gioco non c’è soltanto un istituto giuridico (per quanto, come visto, imprescindibile) ma c’è una visione di giustizia che ritengo fortemente populista e dannosa, per i cittadini anzitutto. Populista perché alimenta la perversa credenza che ricorrere alla pena ed al carcere sia la soluzione di ogni cosa e dannosa perché non contribuirebbe in nulla a rendere una Giustizia più giusta e celere. Penso che oggi più che mai avvocatura e magistratura debbano mettere da parte anche i propri tabù pur di poter essere d’aiuto ad un Paese che merita di meglio che un ministro della Giustizia che ritiene la tutela dei diritti del cittadino roba da azzeccagarbugli.

Avv. Valerio Vartolo