C'era un tempo in cui il popolo in rivolta dava l'assalto ai negozi di generi alimentari, semplicemente perché pativa la fame. Si chiamavano “rivolte del pane”, o “rivolte dei forni”. La più famosa fu quella che divampò a Milano nel 1628, e che Manzoni rievocò nei Promessi sposi. La più recente fu quella che esplose in Tunisia nel 2011, e fece scoccare la scintilla delle cosiddette primavere arabe. Ma ora i tempi sono improvvisamente cambiati. Gli scassacarrozze degli “eroici sabati” francesi, infiammati non dal rosso delle lotte sociali ma dal giallo dei giubbotti dell'emergenza stradale, si sono ben guardati dal puntare sulle panetterie. Armati di spranghe e picconi hanno sfogato la “giusta rabbia del popolo” dando l'assalto ai negozi di elettronica, per riempirsi le tasche di costosissimi smartphones, e poi alle boutiques degli abiti griffati, alle gioiellerie e alle altre vetrine scintillanti degli Champs Élysées e della Rue de Rivoli.
Ma oggi il mondo, si sa, è sempre più strambo e stralunato. Siamo un popolo di “incattiviti”, come ha dichiarato un recente rapporto del Censis. La sòcial-cretineria ha lobotomizzato masse enormi di persone. La razionalità, cui un tempo si usava rendere formale omaggio anche nel senso comune, oggi è diventata per molti – per troppi – un semplice oggetto di scherno. Il senso della misura è il bersaglio preferito del ludibrio più sguaiato. L'ignoranza è un vanto. La strafottenza un diritto civile. La violenza verbale un obbligo naturale. L'egolatria il nuovo culto universale.
Eppure – e qui direte che il matto è Sélinos! – io non mi arrendo al demone oscuro del pessimismo. Anzi, gli rido in faccia, come Democrito che derideva le follie umane. E sapete perché? Perché vedo anche la bellezza intorno a noi. Vedo la bellezza e la bontà, che ancora non sono morte, ma splendono sempre nel fondo di tutti gli esseri viventi, compresi noi umani che ci dilettiamo del reciproco odio forsennato, e moltiplichiamo tra noi le divisioni e i muri, e stiamo dissennatamente distruggendo la nostra stessa casa comune, il pianeta che ci dà la vita con la sua terra, la sua aria, le sue acque.
Vedo bellezza e bontà non solo nell'opera dei volontari che in ogni parte del mondo dedicano parte della loro vita al bene del prossimo, al sostegno degli ultimi, al salvataggio delle vite più disprezzate, ma anche in certi piccoli gesti della vita quotidiana, come i sorrisi, gli atti di gentilezza, o il semplice raccogliere una cartaccia dal marciapiede per riporla in un cestino dei rifiuti.
Vedo bellezza e bontà nella mitezza dei comportamenti, nel lavoro onesto al servizio della collettività, nell'attenzione alle parole e ai desideri degli altri, negli atti di pietà, di pentimento e di perdono. Perché, come diceva il filosofo cinese Lao-Tse: “Il saggio non accumula: usa tutto per prendersi cura degli altri, ma lui stesso possiede sempre più”.
Adesso lo so quello che alcuni di voi (pochi, spero) stanno pensando: che sono un “buonista”. Che stupida parola. Quanto mi fa ridere anch'essa. Eppure la accetto volentieri, che me ne importa! Che importanza ha sottilizzare sui termini? Quel che conta è la sostanza. E allora va bene, se proprio volete sono un buonista. Sono fiero di esserlo. Anzi, di più: sono felice di esserlo. Vorrei che tutti lo fossero. E scenderei in piazza insieme al “popolo” solo se vi fossi costretto dalla fame. E darei l'assalto a un forno del pane, badando comunque a non far male a niente e a nessuno. Perché questa non mi sembrerebbe poi un'azione così cattiva e demenziale.
Sélinos