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03/04/2019 06:00:00

Mafia, Mazara: la villa a Tonnarella di Totò Riina. La storia / 3

  Da due giorni abbiamo iniziato a raccontarvi ciò che emerge dalla lettura delle 33 pagine del decreto di confisca – nei confronti del capo mafia Salvatore Riina, deceduto il 17 novembre 2017, e dei suoi eredi. Oggi concludiamo il racconto.

I ‘GUAI’ PASSATI PER UN’ALTRA CONFISCA - Nel corso del colloquio in carcere, i due, hanno discusso chiaramente dell'avvenuto acquisto da parte della giovane di una nuova casa a Mazara del Vallo (abitazione classe ‘A/2’ di 10,5 vani, sita in via Dante Fiorentino nr. 7 piano terra, acquistata nel 2005) e delle conseguenti difficoltà economiche riscontrate, sia per la ristrutturazione dell'immobile, che per il pagamento delle rate del mutuo. E così Maria Concetta ricordava allo zio “i guai passati da lei e dalla sua famiglia per avere subito il sequestro della casa dove prima abitavano” (il 30/01/1984 veniva sequestrata a Gaetano RIINA e, successivamente confiscata, l'abitazione sita in contrada Banna Miragliano sempre a Mazara del Vallo), ricevendo da zù Totò la rassicurazione sopra descritta.

IL CONTRATTO NON REGISTRATO E I PAGAMENTI FITTIZI – Ulteriori elementi circa la fittizietà del contratto di locazione stipulato dal formale intestatario dell’immobile, Vito Calandrino, con la moglie di Gaetano Riina, emergono dalla perquisizione domiciliare presso l'abitazione di via degli Sportivi eseguita il 02/6/2011 dai Carabinieri di Corleone. In tale occasione, infatti, sono stati rinvenuti e sequestrati sia il contratto di affitto relativo all’immobile (mai registrato) redatto il 06/10/1992, che numerose ricevute di pagamento per un importo semestrale di 620 euro (rilasciate da Vito Calandrino a favore di Vita Cardinetto). “Dagli accertamenti bancari – come si evince dalla sentenza di confisca nei confronti di Totò Riina e dei loro eredi – eseguiti nei confronti di Gaetano Riina, della moglie Vita Cardinetto e della figlia Maria Riina non è emersa traccia di alcuna transazione riguardante il pagamento dei canoni di locazione in questione (bonifici, assegni o prelievi di contante eseguiti in prossimità dei pagamenti e compatibili con la cifra sopra indicata); inoltre, l ‘unica formalità espletata dal locatario è stata la comunicazione di cessione di fabbricato all'autorità di Polizia; ancora, il Calandrino, fino al 2010, non ha mai dichiarato all'Agenzia delle Entrate il possesso dell’immobile, essendovene menzione solo a partire dall'anno 2011 nel modello 730 da quest’ultimo presentato, nel quale, tuttavia, detto immobile risulta indicato, alla voce ‘utilizzo’, con il codice ‘09’, relativo ai fabbricati non locati”. E continuando: “infine, anche l'ammontare del canone di locazione apparentemente corrisposto per tale immobile, pari a 620 euro semestrali (e quindi a 103 euro mensili), appare eccessivamente esiguo, se non addirittura irrisorio, tenuto conto anche che l’immobile in questione si trova a poca distanza dal mare (Tonnarella); ne consegue che lo stesso, più che essere frutto di una regolare contrattazione, può a buon diritto essere definito, con le parole di Totò Riina, come un ‘‘affitticieddu”, puramente strumentale a prevenire una ben possibile confisca”.

LA ‘PIETRA TOMBALE’ SULLA CONFISCA È LA CONFESSIONE DI CALANDRINO – Il formale intestatario, Vito Calandrino, all’atto dell’esecuzione del sequestro ha spontaneamente dichiarato, in estrema sintesi, di essersi prestato, nel 1990, ad intestarsi l'immobile di Via degli Sportivi su richiesta di Vito Mangiaracina (esponente della famiglia mafiosa di Mazara del Vallo) senza avere mai saputo chi fosse l’effettivo proprietario, di non avere sborsato personalmente alcuna somma di denaro per detto acquisto, di avere - dopo circa un anno dall’acquisto e su richiesta del Mangiaracina - affittato l'immobile alla famiglia di Gaetano Riina.

103 EURO AL MESE, VERSATI SOLO INIZIALMENTE E SEMPRE RESTITUITI – Calandrino ha confermato, inoltre, di avere incassato i canoni soltanto per i primi due/tre anni e, sempre, restituendo la relativa somma al Mangiaracina, di non avere mai avuto la disponibilità dell’immobile e di non avere riscosso da oltre venti anni alcuna somma a titolo di locazione dalla famiglia del Riina. “Risulta così confermata – scrivono gli inquirenti nella sentenza di confisca nei confronti del boss – la natura fittizia dell’intestazione al Calandrino e la riconducibilità effettiva dell’immobile al Riina Salvatore, che lo ha concesso in uso al fratello Gaetano, come si evince dagli elementi posti a fondamento della proposta. Pertanto – concludono i magistrati palermitani – in relazione a tale cespite va accolta la proposta di confisca, sussistendone tutti i presupposti”.

 

Alessandro Accardo Palumbo

www.facebook.com/AlessandroAccardoPalumbo

         Twitter: @AleAccardoP