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09/04/2019 04:00:00

Via D’Amelio, Contrada: “Denunciai il depistaggio nel 2007”

A Caltanissetta, al palazzo di giustizia, è in corso il processo a carico di tre imputati nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio delle indagini dopo la strage di via D’Amelio contro Paolo Borsellino. Il falso pentito Vincenzo Scarantino sarebbe stato costruito “ad arte” da Arnaldo La Barbera, uomo della Polizia di Stato e dei Servizi Segreti morto nel 2002, a capo del pool investigativo i cui componenti oggi sono i tre imputati: gli ispettori Fabrizio Mattei, Michele Ribaudo e il funzionario Mario Bo.

E rispondono del concorso in calunnia, aggravato dall’avere agevolato Cosa Nostra, che avrebbe provocato sette ergastoli definitivi in Cassazione a carico di altrettanti innocenti, sepolti in carcere da un castello di menzogne e poi scagionati dalle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza e dalla revisione del processo. Ebbene, in Aula è stato ascoltato come testimone Bruno Contrada, l’ex dirigente dei Servizi segreti che ha scontato 10 anni di carcere e poi ha scoperto, perché lo hanno informato i giudici della Corte Europea per i diritti dell’uomo, che non avrebbe dovuto scontare la condanna perché lui non sarebbe stato condannabile perché il reato per il quale è stato condannato, il concorso esterno alla mafia, quando sarebbe stato commesso, prima del 1994, non sarebbe stato previsto dalla legge come reato, e quindi non sarebbe stato come tale prevedibile.

Ebbene, Bruno Contrada, tra l’altro, ha dichiarato: “Il giorno dopo la strage di via D’Amelio, Giovanni Tinebra, all’epoca procuratore di Caltanissetta, mi chiese un incontro, che ebbe luogo qualche giorno dopo. E io feci presente al magistrato che non facevo più parte della polizia giudiziaria. Inoltre gli dissi che i Servizi segreti del Sisde non erano in possesso di elementi relativi a eventuali progetti di attentato ai giudici Falcone e Borsellino, e neanche del fatto che si stesse avviando una stagione stragista”. E poi ha aggiunto: “Nonostante i miei 88 anni e le mie condizioni di salute sono qui per dare un contributo alla giustizia: ho denunciato 12 anni fa il tentativo di depistaggio nelle indagini sulla strage di Via D’Amelio.

Oggi voglio aggiungere una cosa: prima di entrare nel carcere di Santa Maria Capua Vetere per espiare la pena per la quale ero stato condannato l’11 maggio 2007, alla fine di marzo venni qui a Caltanissetta, accompagnato dall’avvocato, per presentare un esposto querela, accusando criminali, mafiosi pentiti, ufficiali, dei carabinieri, funzionari di polizia, facendo nomi e cognomi. E’ tutto documentato: si provava in maniera inconfutabile che c’era stato un tentativo di depistaggio nelle indagini sulla strage di via D’Amelio”. Poi, a margine dell’udienza, conversando con la stampa, Bruno Contrada, a proposito del falso pentito Vincenzo Scarantino, ha risposto così: “Dopo mezz’ora di conversazione mi sarei convinto che Scarantino non era un esponente di mafia tale da avere una parte in una strage come quella di Borsellino. Ma non perché io sia più bravo degli altri poliziotti, ma avevo più esperienza e conoscenza sui fatti di mafia. Puntai subito sui Madonia perché Francesco Madonia aveva un covo in via D’Amelio scoperto dalla polizia. Potevano semplicemente affacciarsi e controllare Borsellino mentre andava dalla madre, gli orari, quando entrava e quando usciva”.