di Luigi Pandolfi Giornalista e politologo
C’era una volta la Padania, ora c’è l’autonomia differenziata (o asimmetrica, che rende ancora meglio l’idea). Ma il disegno della Lega (Nord), a distanza di un trentennio, rimane sempre lo stesso: regionalizzare la raccolta fiscale a scapito dell’erario dello Stato e, di conseguenza, delle regioni più svantaggiate del Paese. Le tasse dei veneti ai veneti, quelle dei lombardi ai lombardi, fino alla totale disarticolazione della Repubblica “una e indivisibile”.
La premessa è che le regioni del Nord versano allo Stato sotto forma di imposte molto più di quanto ricevono dallo stesso sotto forma di spesa pubblica (il cosiddetto “residuo fiscale”).
Assunto facilmente confutabile sia nella sostanza che nella forma. Nella sostanza perché i numeri dicono che i meridionali sono il 34% della popolazione italiana ma la spesa pubblica destinata ad essi dallo Stato è pari al 28,3% del totale (contro il 71,7% destinato al centro-nord), senza contare il grave gap infrastrutturale che ancora permane tra il centro-nord e il sud della Penisola.
Nella forma perché in uno Stato unitario, qual è quello italiano, non esistono le tasse dei veneti e dei calabresi, ma solo le tasse degli italiani e perché le regioni, istituite solo nel 1970, non sono articolazioni di uno Stato federale (su base etnica o storico-politica), bensì meri enti territoriali che, insieme a province, comuni e città metropolitane, concorrono a definire l’organizzazione amministrativa dello Stato.
Un imbroglio. Sul quale, nondimeno, si fonda un disegno, lucido e pervicace, che avrebbe conseguenze letali per il Paese e per il Mezzogiorno. Basta leggere quello che c’è scritto nelle bozze d’intesa: l’attribuzione delle risorse necessarie all’esercizio della maggiore autonomia (su ben 23 materie!) avverrebbe, a regime, sulla base di “fabbisogni standard” determinati sulla base della popolazione residente e, soprattutto, del gettito fiscale “maturato sul territorio regionale”. E a decidere le “modalità per l’attribuzione delle risorse” sarebbe una “Commissione paritetica Stato-Regione”.
Tradotto: se in una regione la raccolta fiscale è maggiore, maggiore dovrà essere la qualità dei servizi che nel suo territorio verranno erogati. Costituzione della Repubblica a pezzi e Parlamento esautorato. La fine dell’unità del Paese decretata non da una rivoluzione, da un referendum o da un voto parlamentare, ma nell’ambito di una “trattativa” tra il governo pro-tempore ed i rappresentati di enti territoriali elevati al rango di capi di Stato e di governo in pectore.
Esagerato? Basta elencare le materie sulle quali queste regioni chiedono potestà esclusiva: rapporti internazionali e con l’Unione europea; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi.
E ancora tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale; organizzazione della giustizia di pace; norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Una deriva decisamente più pericolosa di quella che avrebbe potuto innescare il progetto di “federalismo fiscale” dei primi anni duemila. Perché in questo caso non saremmo dinanzi ad riforma organica degli assetti economici e finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali, ma a una balcanizzazione del Paese, ad atti unilaterali di singole regioni avallati da uno Stato imbelle in spregio ai principi fondamentali della Costituzione e secondo un’interpretazione molto estensiva di alcune sue parti (artt. 116 e 117).
Il grande paradosso: la Lega potrebbe riuscire dove non riuscì con la sua partecipazione ai governi di centrodestra, aggrappandosi alla sciagurata riforma del Titolo V della Costituzione realizzata dal centrosinistra, potendo contare sulla subalternità del Movimento 5 Stelle e sull’ambiguità delle principali forze d’opposizione (il Pd del Veneto e della Lombardia si schierò per il Sì al referendum sull’autonomia).
Non ci resta che confidare nella saggezza e nella responsabilità del Capo dello Stato. E anche nella capacità del Sud di svegliarsi. Prima che sia troppo tardi.