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28/06/2019 06:00:00

La moglie del carabiniere Barcellona: “Ecco perché mio marito non è una talpa del boss"

 Riceviamo e pubblichiamo questa lettera inviata alla nostra redazione dalla dottoressa Desirè Giancana, moglie del carabiniere Giuseppe Barcellona, del quale abbiamo più volte parlato nelle nostre ultime inchieste relative al procedimento che al momento vede l'ex sindaco Antonio Vaccarino scarcerato dal Riesame, il colonnello della Direzione Investigativa Antimafia di Caltanissetta Marco Zappalà in carcere e lo stesso Barcellona ai domiciliari.

 

Buongiorno,

sono la moglie dell’appuntato Giuseppe Barcellona.

Mi rivolgo a voi perché siete stati gli unici che, attraverso le vostre inchieste, avete sollevato dubbi a proposito di questi arresti.

In passato, da blogger, mi sono occupata anch’io d’informazione, scrivendo diversi articoli su un sito locale e posso capire che quando vengono arrestati dei carabinieri è sempre uno scoop.

Ma quel titolone, “Talpe di Matteo Messina Denaro”, lanciato da un quotidiano nazionale e ripreso a ruota da tante altre redazioni, mi ha fatto molto male. Perché, come si è visto, non corrispondeva al vero. Ed anche nella relativa ordinanza, non c’è alcun cenno di un termine simile.

Mi conforta che almeno voi abbiate letto le carte, tornando sul tema con diversi approfondimenti.

 

Gli stessi Pm si ponevano la domanda se ciò fosse accaduto per favorire oppure, al contrario, per catturare il latitante. E, più recentemente, come avete evidenziato, il Tribunale della libertà si è espresso a favore della seconda ipotesi.

Invece si è rischiato di far passare il messaggio come se mio marito volesse aiutare la mafia, passando alla cosca le intercettazioni per impedire la cattura di Messina Denaro.

Mio marito ha dato una ed una sola informazione in 2 anni ad un suo superiore e su sua richiesta.

Ed inoltre, il colonnello Zappalà svolgeva le indagini proprio nella caserma dei carabinieri di Castelvetrano. Non si vedevano certo di notte negli alberghi, come certi magistrati.

 

Da troppo tempo, leggo in giro assurdità lontanissime sia dai fatti che dalle reali accuse degli stessi Pm, scritte con una facilità che non tiene conto di come può sentirsi un uomo da sempre al servizio dello Stato.

E a queste si aggiungono anche le inesattezze meno gravi. Per esempio, che Giuseppe Barcellona sia un maresciallo. Invece no, mio marito è un appuntato scelto.

Il maresciallo era Filippo Salvi, precipitato nel 2007 dalla montagna di Aspra, una frazione di Bagheria, per aver messo un piede in fallo. Stava sostituendo mio marito, che lassù ci aveva fatto 15 notti in un delicato servizio di osservazione nelle indagini per la cattura di Matteo Messina Denaro.

Erano amici.

A recuperare il corpo esanime di Ram, lo chiamavano così perché era molto preparato nel settore dell’informatica, fu proprio mio marito che conosceva bene quella montagna.

 

Ecco, voglio che si sappia che il carabiniere Giuseppe Barcellona ha sempre creduto in quello che faceva.

Anche quando ha prestato servizio prima nei Paracadutisti collaborando nello stesso periodo con il  castelvetranese Comandante Alfa, uno dei fondatori del GIS, e poi per quattro anni nello squadrone Cacciatori di Calabria, partecipando in Aspromonte alla cattura di diversi latitanti.

Anche quando, dal 2002 al 2010, faceva parte della CRIMOR, l’unità militare combattente formata da Sergio De Caprio, il Capitano Ultimo.

Anche quando fornì il suo determinante contributo per gli arresti dell’operazione Eden 2, che gli valse un encomio da parte del Comando Interregionale dei Carabinieri.

Aveva contribuito ad “esaltare il prestigio dell’Istituzione”, così c’è scritto nell’encomio, che gli è stato consegnato nel settembre 2018, cioè nel pieno di quelle indagini che nell’aprile scorso hanno portato al suo arresto.

E in un accesso di rabbia e di sfiducia, sentendosi tradito, mio marito quell’encomio l’ha strappato. Ma io ho conservato i frammenti, nella speranza di poterli rimettere insieme, appena tutto sarà finito.

Perché, nonostante tutto, continuiamo a credere nella giustizia.

 

Dott.ssa Desirè Giancana