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11/07/2019 09:19:00

Il figlio di Nicastri lascia il carcere e va ai domiciliari

 Il gip di Palermo Guglielmo Nicastro ha concesso gli arresti domiciliari a Manlio Nicastri, figlio del cosiddetto "re del vento" Vito Nicastri, coinvolto e in cella, come il padre, nell'inchiesta sulle tangenti sull'eolico siciliano. La decisione segue di qualche giorno le ordinanze del tribunale del riesame, che aveva concesso gli arresti in casa anche a Paolo Franco e Francesco Paolo Arata, padre e figlio, anche loro in carcere dal 13 giugno, nell'ambito della stessa indagine della Dda di Palermo.

Mentre però Manlio, e soprattutto Vito Nicastri, hanno reso dichiarazioni con cui hanno fatto ampie ammissioni e hanno consentito di allargare le indagini, i due Arata avevano negato tutto, respingendo le accuse e sostenendo di essere assolutamente estranei alla vicenda delle mazzette che sarebbero state versate a impiegati dell'assessorato regionale siciliano all'Energia, allo scopo di agevolare le autorizzazioni concesse alle società del gruppo Arata-Nicastri, interessate a realizzare impianti eolici e per la produzione di biometano in varie parti dell'isola.


Con la decisione di oggi il gip ha accolto l'istanza dell'avvocato Giovanni Di Benedetto e ha dunque colmato una sorta di squilibrio fra le posizioni dei vari indagati. Vito Nicastri non ha invece presentato alcuna istanza e rimane in carcere, dove si trova anche con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa: l'imprenditore di Alcamo (Trapani) è considerato anche vicino al boss Matteo Messina Denaro e ha subito una maxi confisca da un miliardo di euro. Adesso è accusato di altri fatti di mafia in concorso con esponenti di Cosa Nostra delle province di Palermo e Trapani.

Arata, faccendiere vicino alla Lega, è indagato anche a Roma con l'ex sottosegretario Armando Siri, al quale avrebbe versato una tangente da 30 mila euro, per agevolare l'approvazione di un emendamento alla legge finanziaria 2018, che avrebbe consentito di ampliare i fondi nel campo del mini eolico, in cui lo stesso professore genovese aveva interessi con il suo socio siciliano.