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22/11/2019 08:40:00

Cinque Stelle e Di Maio sempre più in crisi. La base si rivolta: "Suicidio"

Di Maio, Ministro degli Esteri, diserta il G20 in Giappone per andare a fare un tour politico in Sicilia. La vicenda è imbarazzante, ne parliamo su Tp24 in un altro articolo, anche perché oggi si inventa una visita a Castelvetrano per i "danni dell'alluvione", quando in realtà a Castelvetrano c'è stato solo un piccolo nubifragio, dieci giorni fa, come nel resto della provincia di Trapani. 

Intanto gli iscritti alla piattaforma Rousseau hanno detto no alla «pausa elettorale» chiesta da Luigi Di Maio per le prossime elezioni regionali in Emilia Romagna e in Calabria. Il M5s parteciperà dunque, il prossimo 26 gennaio, al voto nelle due regioni . I votanti sono stati 27.273 su 125.018 iscritti. I Sì sono stati il 29,4%, i No il 70,6%. Prima della chiusura del voto lo stesso Di Maio aveva ammesso che «il Movimento è in un momento di difficoltà, c’è bisogno di mettere a posto alcune cose». Una volta resi pubblici i risultati ha cambiato atteggiamento, si è mostrato entusiasta e ha fatto sapere che il M5s non si alleerà con nessuno: «Mandato fortissimo, parteciperemo al voto con tutte le nostre forze. In Emilia Romagna e in Calabria ci presenteremo e i parlamentari e i consiglieri regionali mi hanno chiesto di correre da soli». Con buona pace del Pd. I candidati governatori si sceglieranno la prossima settimana. In Emilia-Romagna si ripartirà dai consiglieri uscenti, in Calabria il nome più accreditato è quello del docente Francesco Aiello.

Stando al sondaggio Noto Sondaggi-Ipr per Porta a Porta con un candidato pentastellato Bonaccini prenderà il 45%, la candidata leghista Borgonzoni il 44% e un candidato pentastellato avrebbe l’8% dei consensi. Se i Cinque Stelle decidessero di presentarsi in alleanza con lo schieramento di centro-sinistra, Bonaccini potrebbe contare sul 52%, Borgonzoni sul 46%.

Previsti per marzo gli Stati generali del M5s, una sorta di congresso in cui, tra l’altro, si metterà in discussione la leadership di Di Maio. Per la sua successione si pensa ad Alessandro Di Battista.


«I militanti 5 Stelle hanno sfiduciato Di Maio e Grillo, e con loro il governo contro natura con il Pd. Le porte della Lega sono aperte a chi vuole davvero il cambiamento»  commenta Matteo Salvini. 

Questo il commento di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, già dal titolo indicativo: "Suicidio".

Di Maio ammette ciò che tutti vedono: il M5S è «in un momento di difficoltà» (pietoso eufemismo). E Buffagni evoca la possibile «estinzione del Movimento», nato dalla fantasia di Grillo e Casaleggio come forza “biodegradabile”, ma nel senso opposto alla scomparsa per mancanza di idee e di elettori. Intanto gli iscritti votano su Rousseau per presentare le liste alle Regionali del 26 gennaio in Emilia Romagna e in Calabria. E già soltanto la decisione di interpellarli, a prescindere dall’esito, era un sintomo della profonda crisi dei 5Stelle. Quand’era vivo Gianroberto Casaleggio, era lui insieme all’allora capo politico Beppe Grillo ad assumersi la responsabilità di concedere o negare il simbolo alle liste dei meetup nelle regioni e nei comuni al voto: quando i meetup litigavano o non erano pronti o non trovavano candidati all’altezza, diceva no e morta lì. Ora invece il capo Di Maio è talmente debole che affida la decisione agli iscritti, anche se tutti i volti più noti del M5S – da lui a Fico, da Di Battista a Taverna, da Bugani a Patuanelli, da Fraccaro a Bonafede – concordavano sull’idea di saltare un giro nelle due regioni.

Consultare la base è sempre un’ottima cosa, ma c’è modo e modo di farlo: qui l’annuncio è arrivato a sorpresa l’altroieri e non è stato minimamente preparato. Nessuno ha spiegato agl’iscritti i motivi di quell’opzione: la carenza di candidati nuovi (a parte i consiglieri regionali a caccia di secondo mandato); la necessità di una profonda (ri)organizzazione non solo al vertice ma anche alla base, sui territori, dopo l’esaurirsi della spinta dei meetup; la priorità – almeno in Emilia Romagna – di non danneggiare inutilmente Stefano Bonaccini, unico antidoto al salvinismo montante, la cui sconfitta potrebbe portare alla morte prematura del governo Conte. Così quell’opzione è apparsa ai più una fuga dall’ennesima sconfitta regionale annunciata dopo quelle dell’ultimo biennio culminate nella débâcle in Umbria (l’ultima vittoria, ancorché mutilata dal sistema elettorale, è quella del novembre 2017 in Sicilia). Così ieri gli iscritti si sono ritrovati a votare al buio e, com’era prevedibile, ha prevalso il patriottismo di partito. Col risultato che i 5Stelle si sono sparati un’altra volta nei piedi, come da copione. Un caso di suicidio assistito. La linea Di Maio, chiaramente suggerita nel quesito suggestivo su Rousseau e ribadita incautamente dal capo politico a urne telematiche aperte, è stata platealmente sconfessata dalla base. E, anche se era quella di tutto il vertice M5S, a uscirne vieppiù indebolito sarà solo lui. Oggi e ancor più domani.
Perché ora le liste vanno presentate: e con quali candidati, visto che sul territorio i militanti senza cariche sono quattro gatti e nessun leader s’è ancora affacciato per fare scouting e campagna elettorale, mentre Salvini e in parte il Pd sono in giro da un pezzo? Ma soprattutto: se Bonaccini, dato ora in lieve vantaggio sulla Borgonzoni, sulle ali anzi sulle pinne delle Sardine, dovesse perdere per pochi voti e i 5Stelle raccoglierne pochi in più di quelli mancanti al governatore uscente, tutti darebbero la colpa a loro. Li accuserebbero di aver “fatto il gioco della destra”: accusa assurda, perché difficilmente i “grillini” duri e puri votano Pd (i più si astengono). Ma il crollo della roccaforte rossa innescherebbe un cataclisma politico tale da spazzare via il governo Conte2. E con esso l’ultima occasione per il M5S di governare da posizioni di forza (hanno pur sempre un terzo di seggi in Parlamento). In ogni caso, anziché contemplarsi l’ombelico e parlare delle proprie rogne, da oggi il Movimento deve mettersi in movimento e fare ciò che gli iscritti gli hanno chiesto: impegnarsi tutti, nessuno escluso. A partire da Grillo, che non può tirarsi indietro dopo aver spinto il M5S in direzione centrosinistra. Candidare uomini di partito non avrebbe senso: perché non ce ne sono e nessuno capirebbe una scelta così lontana dallo spirito dei tempi.
L’unica strada è quella civica e ambientalista: quella che riempie le piazze sotto le insegne delle Sardine in Emilia e del movimento dei Balconi in Calabria. Nel poco tempo che c’è, bisogna aprire le liste a quei mondi, tentando di aggregare attivisti senza bandiera, professionisti ed esponenti della società civile su pochi punti che stiano a cuore agli elettori di due regioni tanto diverse. E, su quel programma d’emergenza, proporre un patto al Pd, come quello sperimentato in Umbria, cioè nella regione meno indicata: in Emilia Romagna il M5S appoggia Bonaccini e in Calabria il Pd sostiene un candidato governatore “civico” indicato dai 5Stelle. Si dirà: ma come può un grillino emiliano-romagnolo digerire l’alleanza col Pd dopo averlo combattuto per 10 anni? Può se Bonaccini rivede la sua legge urbanistica mangia-suolo e accetta un vicepresidente-assessore all’Ambiente indicato dai 5Stelle che: privilegi il traffico su rotaia e penalizzi quello su gomma (sblocco dei fondi sui tram urbani per abbattere lo smog da autotrasporto e raddoppio dei binari ferroviari in una regione dominata da treni a binario unico); fermi le tre nuove autostrade-camere a gas, sciaguratamente sbloccate da Toninelli per compiacere il Partito del Pil Lega-FI-Pd; dirotti il traffico fuori da Bologna; riapra i reparti ospedalieri chiusi per penuria di medici; finanzi il cablaggio in fibra ottica della regione, digitalizzando e sveltendo la burocrazia; cose in linea col piano di innovazione e green economy di Conte e soprattutto dalla nuova Commissione Ue. Se poi Bonaccini rifiutasse, la sconfitta sarebbe tutta sua, senza scuse né alibi. Ma, se accettasse, i 5Stelle potrebbero intestarsene il merito. Recuperare l’identità delle origini. E persino qualche voto.

Marco Travaglio