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22/12/2019 06:00:00

Ma la non violenza è una cosa seria ...

 Siamo a Natale. Vogliamo parlare un po' di pace e di amore? Ma seriamente. Pensando a quel bambino che sta per nascere. Totalmente indifeso, nel suo piccolo giaciglio. Totalmente ignaro del bene e del male di questo mondo. Ma certamente bisognoso. E di cosa? Soltanto di amore, di calore, di sostegno, di protezione. Perché solo di questo ha bisogno l'essere umano nell'innocenza del suo venire al mondo.
Poi il bambino cresce, ma il suo bisogno fondamentale rimane sempre quello. E seppure abbia avuto la (rara) fortuna di trascorrere un'infanzia perfettamente felice, al riparo da ogni trauma e da ogni dolore, prima o poi necessariamente dovrà – così come avvenne al giovane principe Siddharta della leggenda buddhista – uscire dal recinto che lo proteggeva e scoprire il duro volto della realtà. E combattere. Perché la vita è milizia, come dice la Bibbia nel libro di Giobbe.

Ma in che modo combattere? E con quali armi? È su questo punto che conviene concentrare tutto il nostro sforzo intellettivo. Le relazioni tra gli uomini sono dominate dal conflitto. E nel pensiero comune è radicata la convinzione che nel conflitto possano trionfare solo gli astuti e i violenti, gli egoisti, i bugiardi, i truffatori, i ladri. Ma non è così.

Riflettiamo: quel bambino innocente, quel neonato, in fondo è sempre vivo in noi. Tutti noi lo sappiamo, tutti noi lo sentiamo. E il vero senso del Natale dovrebbe essere proprio questo: assistere alla rinascita miracolosa di quel bambino. Riuscire, almeno in quella notte, a riascoltare il battito del cuore e il canto dolce di una madre che ci parla soltanto di amore. Poi, sta a ciascuno di noi la volontà di non perdere l'invito di quel canto. C'è chi si salva, e c'è chi si smarrisce. È una questione di scelta.
E dico “scelta”, sì. Uso questo termine che in greco è haìresis, da cui eresia. E non a caso. Ma perché nel nostro mondo oscurato dalla violenza, fisica e verbale, la scelta di chi decide di combattere con l'arma della non violenza è ovviamente considerata un'eresia. Eppure è questa la scelta che tutte le tradizioni religiose, mistiche e sapienziali, hanno sempre indicato con il nome di “retta via”. Gli induisti la chiamano ahimsa, i musulmani salàm, i cristiani eiréne: pace. E, si badi bene, non solo e non tanto per una speranza di paradisi ultraterreni, ma soprattutto per ottenere qui e ora la liberazione dal dolore. Sì, qui e ora, nell'unica realtà che conta, quella della nostra vita, giorno per giorno, istante dopo istante.
Ma seguire veramente la retta via della pace non è facile. La non violenza è un'ardua disciplina di autocontrollo, di autodominio, che non concede soste, né disattenzioni. Essa vuol dire molte cose: non fare del male né agli altri, né a noi stessi, né alla natura, agli animali, alle piante, alla terra, all'aria, alle acque. Difficile via, ma necessaria. Sempre più necessaria, in questo mondo che sta per esplodere nei conflitti sociali e ambientali, con un pianeta già esausto, che tra non molto dovrà sostenere dieci miliardi di essere umani sempre più affamati di benessere e di consumi.
E allora, da dove possiamo cominciare? Mettere a freno gli impulsi e gli appetiti, domare la collera, allenarsi al sorriso, all'empatia, ai gesti solidali. Usare la ragione. Non la ragione fredda e calcolatrice, che facilmente diventa strumento del male, ma quella ispirata dall'intelletto d'amore, come insegnavano i poeti e i mistici medievali. Quella che ci impedisce di dire parole o di compiere atti che possono solo generare il male. Poi, ciascuno è libero di spaziare nel vasto campo della vita alla scoperta di ciò che è bene e di ciò che è male. Ma un criterio dovrebbe valere per tutti e in tutti i casi: non procurare sofferenza a nessun essere vivente. E questo vuol dire anche non offendere, non umiliare. Mai.
La cronaca politica recente offre spunti di riflessione. C'è una novità. In molte piazze d'Italia manifestano le Sardine. Sono folle immense. Giovani e anziani. Gridano no alla violenza. Ed è una cosa bellissima. Una svolta epocale, inaspettata, un segno di speranza. Ma ecco che in una di quelle piazze, da un gruppetto di ragazzi parte a un tratto un coro di insulti violenti e triviali contro Salvini. Sono un'esigua minoranza, d'accordo. Comunque no, questo non va bene. Una brutta nota stonata rischia di rovinare uno splendido concerto. L'epoca del “vaffa” va archiviata per sempre. La rabbia e l'orgoglio sono vecchi arnesi da bruciare. Se non rifiutiamo l'odio che è in noi, come potremo vincere quello che è fuori di noi? La non violenza è una cosa seria. Se davvero vogliamo sconfiggere i violenti, dobbiamo cominciare a moderare noi le nostre parole. Il principio del rispetto deve valere per tutti, anche per quelli che spesso non lo hanno praticato.
Altro esempio. La vicenda tristissima di Sondrio, della donna africana insultata al Pronto soccorso perché gridava il suo dolore per la morte della figlioletta. Questa storia non è stata ancora del tutto chiarita. E c'è chi addirittura suppone che non sia vera. Che gli insulti non siano mai stati pronunciati. Sia come sia (non tocca a me formulare ipotesi, anche se mi pare pazzesco che si possa inventare un'accusa di tale gravità), la giusta condanna di un comportamento esecrabile non ci deve autorizzare alla violenza verbale contro i presunti colpevoli, né tanto meno alla condanna di un'intera comunità cittadina. E il caos provocato dalla vicenda ci obbliga a riflettere sui danni terribili, a volte irreparabili, che può generare la diffusione di una calunnia, di una falsa notizia. Perché la menzogna è una delle forme peggiori di violenza.
La bimba di Sondrio è morta, e sua madre ha gridato per il dolore. Questa è l'unica certezza che abbiamo. E a noi non resta che unirci al pianto di quella povera donna. Ma un bambino ora sta per nascere. Questa sì che è una bella notizia! Ed è per lui, per il suo bene e per il nostro, che dobbiamo arruolarci con gioia nella quotidiana milizia della pace.

Selinos