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28/12/2019 06:00:00

Trapani: il caso delle sorelle Fonte, testimoni dell’omicidio Rostagno e diffamate/1

Diffamate con l’accusa di aver mentito al processo Rostagno. L’undici dicembre scorso la Corte d’Assise di Trapani ha condannato per diffamazione l’avvocato trapanese Nino Marino che, nel corso di una intervista televisiva rilasciata nel 2017 aveva accusato le sorelle Emiliana Francesca e Silvana Fonte di aver dichiarato il falso nel processo per l’omicidio di Mauro Rostagno, celebrato dinnanzi alla Corte d’Assise di Trapani.

L’avvocato Marino aveva bollato, inoltre, come “pericolosi mafiosi” il padre delle due donne, e il fidanzato di una di loro. All’epoca dei fatti, e cioè la sera del dell’omicidio Rostagno, in contrada Lenzi, il 26 settembre del 1988, le due sorelle erano minorenni: 13 anni Silvana, 17 anni Emiliana Francesca. 

A San Vito lo Capo nel luglio del 2017, dove l’avvocato Marino è stato ospite della rassegna letteraria “Libri, autori e bouganville”, dopo aver presentato il suo libro, il professionista in una intervista a Telesud – la televisione di Trapani di cui è presidente il figlio Massimo – avrebbe offeso la reputazione delle sorelle Fonte, affermando che le stesse avrebbero dettouna bugia inverosimile nelle deposizioni testimoniali rese innanzi alla Corte d’Assise di Trapani dove si celebrava il processo per il delitto Rostagno”, aggiungendo anche “di aver scoperto, grazie alla sua professione di avvocato, che il padre delle due donne, Domenico Fonte, e Giuseppe Candela, fidanzato di Silvana, erano due pericolosi mafiosi”.

L’accusa dell’avvocato Marino - Secondo l’avvocato Nino Marino la bugia delle sorelle consisteva nell’aver dichiarato di aver visto passare l’auto di Rostagno ad alta velocità, mentre la macchina, subito dopo l’agguato, venne trovata con la prima marcia ingranata.

Per i giudici, però, già nella stessa sentenza del processo Rostagno si conferma l’attendibilità delle sorelle Fonte. Nella sentenza emessa dalla Corte d’Assise si legge: “nessuno hai mai messo in dubbio, nemmeno nel presente dibattimento, la generosità e la genuinità dello sforzo profuso per anni dalle sorelle Fonte per dare il proprio contributo all’accertamento della verità e all’individuazione dei responsabili dell’omicidio”. Anzi, “con le loro testimonianze, anche in questo dibattimento, hanno fornito spunti e concreti elementi di conoscenza il cui valore si può apprezzare incrociandoli con altre risultanze”.

 “Considerate la complessità delle testimonianze rese dalle due sorelle Fonte, sottolineando che all’epoca erano poco più che ragazzine e che sono state coinvolte in un iter investigativo che si è protratto per tantissimi anni e inquinato da diverse ombre riportate nella stessa sentenza. Ciò posto, è evidente che tacere sulle complessità del processo, non dare atto dell’età delle Fonte all’epoca delle prime audizioni ed accusarle di aver mentito sulla velocità della macchina, allo scopo di coprire il coinvolgimento del padre bollato come “pericoloso mafioso”, nell’omicidio Rostagno, si traduce in un travisamento del fatto, che assume contenuto diffamatorio”, così scrivono i giudici nella sentenza:

Dal procedimento a carico dell’avvocato, inoltre, è emerso che né Domenico Fonte né Giuseppe Candela sono mai stati condannati per mafia o per concorso esterno in associazione mafiosa. E a tal proposito i giudici scrivono: “Ancora più evidente l’avvenuta integrazione del contestato delitto di diffamazione con riferimento all’affermazione dell’essere il padre delle Fonte e il fidanzato di Silvana “pericolosi mafiosi”. “L’imputato – continuano i giudici - non ha supportato l’infamante qualifica attribuita a Domenico Fonte e Giuseppe Candela con elementi in grado di suffragarne seriamente l’attendibilità".

Né il padre delle sorelle Fonte né il Candela sono stati mai condannati o per quel che risulta dagli atti indagati per mafia o per concorso esterno in associazione mafiosa o per fatti commessi con metodo mafioso o al fine di agevolare Cosa nostra. Nessuno dei due è stato sottoposto a misure di prevenzione o proposto per l’applicazione di una misura di prevenzione quale indiziato di appartenenza mafiosa.

Per quel che riguarda Domenico Fonte, è stato accertato che non era l’autista del boss mafioso Vincenzo Virga, ma era un autista della ditta di autolinee e noleggio autobus di proprietà di Baldassare Virga che a differenza di altre società e imprese, non è mai stato accertato che quella ditta riconducibile a Baldassare Virga fosse, in realtà, nella disponibilità di Vincenzo Virga.  Ma i giudici dicono di più: “Anche ad ammettere che la ditta fosse di Vincenzo Virga, non ci sono elementi per poter dire che tutti i dipendenti della stessa fossero dei “pericolosi mafiosi”.

Sempre per il padre delle due sorelle Fonte, nel contenzioso che lo vedeva contrapposto a Lidia Fonte, una sua parente, anche in questo caso non ci sono elementi, anzi, smentiscono di fatto la caratura mafiosa del Fonte. Per il fidanzato di una delle sorelle, Giuseppe Candela, pur essendoci stata la condanna per l’aggressione a Giovanni Mazzarella, non è mai stata contestata l’aggravante con il metodo mafioso né di aver agito per favorire Cosa nostra. 

Anche in questo caso, dunque, l’accusa dell’avvocato Marino rivolta al padre delle sorelle Fonte e al fidanzato di Silvana risulta diffamatoria, perché infamante e non supportata da alcun elemento a conforto della veridicità. Continua…