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04/07/2020 06:00:00

Matteo Messina Denaro e le stragi/6. Giovanni Brusca

Continuiamo anche oggi con la seconda parte del nostro approfondimento sulla requisitoria del pm Gabriele Paci, al processo che vede imputato il numero uno di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, il boss invisibile di Castelvetrano, latitante dal 1993.

Giovanni Brusca - Dopo aver parlato ieri di alcuni collaboratori di giustizia come Di Maggio, La Barbera e Santino Di Matteo (potete leggere qui) che hanno reso testimonianza nel corso del processo, oggi continuiamo, con Giovanni Brusca che merita un discorso a parte, perché è ovviamente quello che aveva in Cosa Nostra, diciamo così, un rapporto privilegiato con Totò Riina, e soprattutto uno, era un capo mandamento. Giovanni Brusca partecipa a decine di omicidi già dall' inizio della guerra contro i primi scappati nel Trapanese, oltre a quelli che commette nel palermitano ma qui ci interessano queste quindi ecco stante la presenza di Giovanni Brusca nel territorio trapanese in particolare in quello alcamese perché diciamo è quello più vicino è perché lui ha particolare più vicino al suo territorio e perché lui a una vecchia di amicizia è un vecchio rapporto con Vincenzo Milazzo, che è un enologo che lavorava nella cantina Cagia. Brusca viene a sparare e commette numerosi omicidi insieme a Vincenzo Milazzo, nel corso degli anni Ottanta, partecipa a questi a questa attività fino a che non viene inviato al soggiorno obbligato a Linosa nell'ottantasette. Ritorna sul finire ottantanove e riprende in mano la situazione. E’ uno dei protagonisti principali di questi di questi rapporti e omicidi che si susseguono del trapanese e parteciperà all'omicidio dello stesso Vincenzo Milazzo, quindi fino al novantadue, Giovanni Brusca, è uomo di Cosa Nostra palermitana, figlioccio di Totò Riina che conosce bene le dinamiche dall’interno come fosse un alcamese, perché partecipa a tutte le principali decisioni, ricordiamo che, i corleonesi hanno fatto la guerra e l'hanno vinta anche a Trapani e non si sono ritirati, quindi fanno sentire il peso politico ai trapanesi, e quindi la loro larga ingerenza, naturalmente su delega di Riina, in tutte le vicende interne anche trapanesi. Bisogna specificare perché come è stato avete sentito dunque da vari collaboratori rapporti con Brusca sono rapporti molto conflittuali, proprio perché come dice Sinacori, a Brusca piaceva comandare. Con Brusca nascono numerosi contrasti e mentre fino al novantadue Brusca è di casa tra Alcamo e Mazara, prova ne sono le tantissime riunioni che si tengono alla presenza di Riina con Giovanni Brusca, dove si prendono importantissime decisioni strategiche, dalla fine del novantadue in poi succede qualcosa, per cui Giovanni Brusca viene di fatto esiliato dal territorio trapanese.

Che cosa succede dopo l'arresto di Riina - Dopo gennaio novantatré, si apre una dialettica interna a Cosa Nostra su come e dove proseguire le stragi. Giovanni Brusca fa parte di quel gruppo di cui fanno parte, Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella e i fratelli Graviano che intende portare avanti la strategia del stragista in Sicilia. C'è una fronda, chiamiamola così, che non vuole le stragi in Sicilia, perché si dice “con il maxiprocesso siamo tutti destinati a perire”, perché con la teoria di Buscetta, dove c'è un omicidio eccellente ne risponde il capo famiglia ne risponde la commissione”. Quindi da uomini coraggiosi decidono, facciamole ma laddove questa regola non vale quindi continuiamo ad ammazzare donne e bambini ma almeno noi non c'entriamo.

Il "doppio gioco" di Giovanni Brusca - In questo contrasto che si apre, Giovanni Brusca sembra fare, a un certo punto, agli occhi di Matteo Messina Denaro e di Bagarella, “il doppio gioco,” perché dice lo stesso Brusca: “io a un certo punto vengo a sapere che Gioè che è stato arrestato fa sapere tramite il fratello che c'erano delle microspie e quindi sono stati registrati. Quindi faccio sapere a Ganci di dire a Luchino (Leoluca Bagarella) che non è il caso adesso di fare altri botti perché in questo momento tramite quello che ci ha fatto sapere Gioè, è bene stare in silenzio. Questo messaggio, dice Brusca, viene riportato da Ganci in modo non corretto, per cui la vulgata che passa e che arriva a Messina Denaro e a Bagarella e ai Graviano, è che Brusca si defila e a quel punto diventa agli occhi di quello che è il direttorio, che prende in mano le sorti di Cosa Nostra e decide di portare avanti le stragi, diventa un infame quindi viene esiliato, al punto che nell'aprile all'aprile novantatré, Bagarella a seguito all'omicidio di una persona, dà ordini tassativi a Giuseppe Ferro, nuovo capo mandamento di Alcamo, di non parlare con Brusca perché se Brusca vuole, d'ora in poi per conoscere le questioni che riguardano il trapanese deve fare la trafila e quindi deve passare dal capo che è Matteo Messina Denaro. Quindi fino alla fine del novantadue Brusca è di casa e spadroneggia nel trapanese, dal novantatré in poi i rapporti diventano “formali”, nel senso che se vuole sapere notizie, se vuole avere conoscenza di qualcosa che riguarda Trapani Brusca deve andare a parlare con Matteo Messina Denaro.

Matteo Messina Denaro voleva uccidere Giovanni Brusca - Tutto questo dura fino al novantacinque, quando arrestano Bagarella c'è un chiarimento fra Matteo Messina Denaro e Giovanni Brusca e i rapporti, diciamo, tornano buoni. C’è quindi un altalenare di situazioni che dovrà essere considerato quando si valuteranno le dichiarazioni di Giovanni Brusca, perché, appunto, la mancanza di linearità e di conoscenze dipende anche da questi rapporti altalenanti e questo spiegherà perché in più occasioni, Matteo Messina Denaro, come racconta Vincenzo Sinacori, voleva uccidere Giovanni Brusca. Nel corso di una riunione lo aspettò con la pistola, perché Brusca aveva espresso giudizi molto forti su Bagarella che era stato arrestato e Messina Denaro a quel punto disse: “adesso lo ammazzo, se dice una parola lo ammazzo”. Quel giorno Brusca per fortuna sua non disse nulla e poi la situazione si appianò, perché dal carcere di fecero sapere che non era il caso, in quel momento, di fare la guerra e di farsi la guerra.

I Messina Denaro custodi dei segreti di Riina e Provenzano - Matteo Messina Denaro e il padre sono i custodi dei segreti dei forzieri di Riina e anche di Bernardo Provenzano. Anche se le indagini non erano arrivate a raccogliere prove decisive, appunto che ancora nel novantadue quando il dottore Bonanno si insedia al commissariato di Castelvetrano accerta che il fratello di Matteo e figlio di Francesco Messina Denaro, è titolare di porto d'armi così come lo è il cognato di Matteo Messina Denaro, Filippo Guttadauro. Nonostante queste situazioni di apparente normalità, c’è molta insofferenza di questi mafiosi nei confronti del gruppo di inquirenti che con notizie frammentarie, con notizie confidenziali però continuavano a indagare e non si accontentavano di far firmare il registro del permesso ai singoli sorvegliati speciali ma chiedevano e indagavano.

Le indagini  di Germanà e la Porsche metalizzata - Il dottor Germana chiamava spesso Matteo Messina Denaro in ufficio e lo faceva aspettare ore, gli chiedeva notizie del padre, notizie sugli affari che facevano capo alla cooperativa di cui erano soci, notizie sulla guerra di Partanna, ai tempi in cui suoi confidenti indicavano i Denaro come diciamo gli sponsor del gruppo vincente degli Accardo, cosiddetti Cannata o su quella famosa loggia massonica e il segreto di una serie di rapporti inconfessabili con mafiosi di tutta la provincia e in particolare i rapporti con quel Savona di cui ha parlato anche il dottor Germanà. E a proposito ci sono anche i suoi contatti con Giovanni Bastone, braccio destro di Mariano Agate, ma anche gli affari che andavano a finire all'isola di Malta, con delle società che facevano capo ai Burzotta e ai mafiosi trapanesi. C’è anche un episodio che racconta Geraci, quello davanti al circolo Pirandello che era il circolo dei giovani rampolli delle famiglie bene di Castelvetrano. Un giorno Matteo Messina Denaro, si presenta con una Porsche che lascia parcheggiata e improvvisamente davanti al circolo arrivano i poliziotti, intervengono e cominciano a fare domande su quella Porsche metallizzata che lui voleva acquistare tramite Salvuccio Madonia, auto che Messina Denaro deve riconsegnare perché ormai è già stata notata dalle forze dell'ordine. 

Continua...