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06/10/2020 17:05:00

Essere politcamente scorretti e non saperlo. Riflessioni attorno a una parola.

di Katia Regina

Guai a chiamare negro un negro, si rischia di essere espulsi dal Grande Fratello Vip. Ma questo potrebbe essere il male minore, restare in quel luogo ameno potrebbe comportare rischi ben più seri per la salute mentale di alcuni partecipanti ingenui (?).

Pittore, ti voglio parlare / Mentre dipingi un altare / Io sono un povero negro / E d'una cosa ti prego / Pur se la Vergine è bianca / Fammi un angelo negro / Tutti i bimbi vanno in cielo / Anche se son solo negri Lo so, dipingi con amor / Perché disprezzi il mio color? / Se vede bimbi negri / Iddio sorride a loro / Non sono che un povero negro / Ma nel Signore io credo / E…

Ecco cosa intendeva dire il povero Fausto Leali, "ho detto queste cose in tempi non sospetti, ma soprattutto non corrotti da una retorica che pretende un monopolio inflessibile sulla dialettica civile e politica". A leggere il testo di questa canzone verrebbe da dire che si tratta di un manifesto voluto dallo stesso Nelson Mandela. Ma il nuovo catechismo di questa ideologia non intende fare valutazioni di merito, giudica e cassa senza se e senza ma. Se dici negro sei razzista, e poco conta se invece se, nel tuo quotidiano, non hai mai né pensato né attuato comportamenti razzisti. Se dici nero allora sei corretto, e poco conta se nella quotidianità non ti sei mai speso realmente per aiutare o sostenere i diritti di quanti vengono discriminati per il colore della loro pelle o per l'appartenenza ad etnie altre. Ma davvero una definizione può fare la differenza? Da quando la storia di un individuo ha smesso di avere importanza? Cos'è questa nuova ideologia che ci giudica per i termini che usiamo senza guardare chi siamo? Lo confesso, anche io sono stata una praticante del politicamente corretto, anche io ho guardato con sdegno quanti chiamano handicappati gli handicappati, o spazzini gli spazzini, eppure so per certo che quando ho usato anche io questi termini, quando ancora non avevo fatto il catechismo del politically correct, ebbene, anche a quel tempo non mi sarei mai sognata di discriminare qualcuno per un qualche motivo, forse solo per antipatia personale, lo ammetto, ma che volete sono umana, forse troppo umana.

Ad ogni modo per poter capire meglio questo argomento, che vi assicuro è molto più vasto di quanto si possa immaginare, vi consiglio una lettura illuminante, un saggio di Eugenio Capozzi “Politicamente corretto. Storia di un'ideologia” (Marsilio editore) .

... l'autore si chiede innanzi tutto se ha senso oggi esaminare il concetto di politicamente corretto sotto una prospettiva storica cercando di mostrarne l'inizio, l'evoluzione e quella che forse ne è oggi la fase calante. L'autore chiarisce, fin dalla premessa, che l'obiettivo della sua ricerca è comprendere il politicamente corretto nella sua chiave storica, inserirlo nel suo contesto ed evidenziare le forze che ne hanno favorito l'ascesa.

Ebbene, per me è stato agghiacciante scoprirmi adepta diligente di una dottrina pseudoreligiosa, dover ammettere che il testo di Imagine di John Lennon non può essere rappresentativo per i pacifisti, insomma svegliarmi da questo sogno abitato da impalcature perfettine... avete presente quando Jim Carrey sfonda con la sua barca la scenografia nel Truman Show.

E comunque, come dice il mio amico Vittorio Alfieri... chiamatemi pure handicappato, ma mettetemi gli scivoli laddove ci sono gradini che mi impediscono di vivere la mia condizione.



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