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11/11/2020 06:00:00

70 giorni in Libia per i pescatori di Mazara. E' polemica sulla presenza di una nave della Marina 

La solidarietà del vescovo di Mazara, l’aiuto economico della Regione Siciliana, l’appello di Papa Francesco e di tutte le associazioni e i sindacati della pesca, non sono bastati fino a questo momento a trovare una soluzione che porti a casa i 18 pescatori sequestrati la notte tra l’1 e il 2 settembre al largo di Bengasi.  Sono passati 70 giorni dal sequestro dei due pescherecci mazaresi, Antartide e Medinea, con a bordo i 18 marittimi.

Sono disperati i familiari dei pescatori di Mazara del Vallo arrestati due mesi fa in Libia e ancora detenuti in una caserma di Bengasi. E’ calato un silenzio insopportabile su un affare internazionale sfociato in un processo del quale non si sa assolutamente nulla (ne abbiamo parlato qui). L’emergenza Covid senza dubbio influisce ma nessuno delle istituzioni sembra accorgersi. La signora Rosetta Ingargiola 74 anni, ha continuato per giorni la sua protesta davanti a Montecitorio, con un cartello in mano per ricordare il figlio Pietro Marrone, 44 anni, comandante del “Medinea”, uno dei due pescherecci sequestrati dai militari di Khalifa Haftar, l’altro è “Antartide”. «Loro si combattono e mio figlio è in carcere senza capire perché. Come non lo capisco io che un figlio di 24 anni ho perso in mare per una tempesta e che adesso, vedova, aspetto solo il ritorno dell’altro».

E intento negli ultimi giorni è anche la polemica sul fatto la sera del sequestro una nave della Marina Militare Italiana era a 115 miglia dalla zona in cui è avvenuto il blocco dei due pescherecci mazaresi. Lo riferisce a Panorama, Giuseppe Giacalone, che la notte dei fatti era a bordo di un altro peschereccio “Aliseo” che è, però, riuscito ad allontanarsi dalla zona in tempo. Giacalone dice di aver ricevuto una chiamata da Roma che lo tranquillizzava, dicendo che entro 20 minuti, massimo mezz’ora sarebbe arrivato l’elicottero in soccorso. La chiamata è avvenuta dopo le 23 del prima settembre.

La nave, Durand de La Penne, era stata allertata alle 21:35, ha a bordo un elicottero AB-212 Asw in grado di poter intervenire, ma alla fine si è deciso di non farlo e di optare per la soluzione diplomatica.

Sulla vicenda è la stessa Marina Militare che precisa che la dinamica degli eventi riportata da presunte “fonti informate dei fatti” non corrisponde alla realtà. “La notte tra l’1 e il 2 settembre, - si legge nella nota della Marina - l’unità navale della Marina Militare impegnata in quel momento nell’operazione Mare Sicuro non ha mai avuto alcun contatto diretto con i pescatori. La Marina ha solo successivamente appreso di quanto stava accadendo dal Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo della Guardia Costiera italiana (IMRCC – Roma).
Al momento dell’acquisizione dell’informazione di allarme il personale libico era già a bordo del motopesca, mentre la nave operava ad oltre 115 miglia nautiche di distanza (tra le 5 e le 6 ore di navigazione). Le possibilità di intervento della nave, anche attraverso l’eventuale impiego del solo elicottero, sono pertanto state precluse sia dalla distanza in gioco, sia dalla dinamica dell’evento. Inoltre, in tali circostanze, con il personale militare libico già a bordo, l’eventuale arrivo dell’elicottero sul luogo dell’evento avrebbe innalzando la tensione e mettendo a rischio la stessa sicurezza dei pescatori italian
i”.

Questa la polemica su quanto accaduto la notte del sequestro. Ad oggi i familiari dei pescatori rimangono in attesa di notizie da parte del Governo italiano, su come si adopererà per liberare i 18 marittimi e riportarli a casa.