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10/12/2020 07:30:00

"Non confondiamo la libertà con l'onnipotenza". Intervista a Gherardo Colombo

Il suo nuovo libro, Anche per giocare servono le regole. Come diventare cittadini (Chiarelettere, 2020), si apre con un capitolo di presentazioni. Rivolgendosi ai ragazzi, a cui il libro è indirizzato, racconta la sua vita, le sue esperienze di giudice e di pubblico ministero. Ecco, vorrei iniziare chiedendole come tutto è cominciato.

Quando ero ancora al liceo, ho deciso che volevo fare il giudice, perché pensavo che verificare il rispetto delle regole fosse un’attività particolarmente utile. Ancora oggi abbiamo bisogno di comprendere come si sta insieme per la serenità di tutti. Qual è lo strumento che permette alle persone di stare insieme serenamente? Dobbiamo essere consapevoli che, se si vuole star bene, è necessario che le regole che organizzano la società siano fatte in modo da consentire di star bene. In questo avverto una sorta di contraddizione, di contrasto forte: a tutti noi sembra di voler vivere serenamente, però poi non pensiamo che per poter vivere serenamente è necessario ricorrere a strumenti che consentano di andare allo scopo.

Per questo a nostra disposizione abbiamo le regole.

Sì, e quando ho deciso di entrare in magistratura, supponevo che la punizione - pur inflitta secondo delle regole molto molto garantite, e che garantissero molto - fosse uno strumento utile per arrivare a questo scopo. Progressivamente ho cambiato idea, e ho cambiato idea perché ho fatto esperienza, ho vissuto la mia vita, e ho constatato che invece non è così. Che la punizione ha come risultato l’ottenere obbedienza. Ma l’obbedienza toglie responsabilità. E senza responsabilità non c’è libertà. E senza libertà credo sia piuttosto difficile riuscire a realizzarsi e realizzare qualsiasi cosa.

Una stringente consequenzialità logica che spesso sfugge.

Molto spesso sfugge. In questo Paese, nella circostanza storica in cui ci troviamo, mi sembra che siamo poco attratti dal considerare che le cose vanno avanti attraverso un percorso di causa ed effetto. Facciamo una grandissima fatica a mettere in relazione le cose. Ascoltiamo di più le emozioni, che pure sono estremamente importanti. Ma a me sembra che ascoltiamo soltanto le emozioni. Che sono importanti, ribadisco, ma devono essere, diciamo così, rese ragionevoli. Devono interagire con il nostro cervello. Noi non siamo soltanto sensazione, siamo anche razionalità, bisogna mettere assieme questi due aspetti.

Uno dei rischi maggiori di questa mancata “ragionevolezza” è prendersi troppe libertà, finire per violare quelle degli altri. Negli ultimi mesi, è una questione molto dibattuta la questione delle libertà, soprattutto riguardo ai famosi dpcm governativi, alle norme anti-Covid da seguire. È giusto che la nostra libertà venga limitata, che abbia dei confini definiti?

Intanto, cercherei di capire cosa vuol dire la parola libertà. Perché sovente confondiamo la libertà con l’onnipotenza. Siamo essere umani, e come esseri umani non siamo onnipotenti: siamo tutti mortali, dobbiamo stare attenti alle malattie, dobbiamo stare attenti al caldo e al freddo, e a tante altre cose. Allo stesso tempo, abbiamo bisogno di rapporti con le altre persone, abbiamo bisogno della nostra socialità. Adesso, mettendo insieme queste cose, vediamo che la libertà viene circondata da una cornice che è costituita, appunto, dal nostro essere umani e dalla necessità che come esseri umani abbiamo di relazionarci con gli altri. Fatta questa premessa, vede che anche la libertà è relazionata a uno scopo e a un fine? In che cosa si concretizza la libertà? La libertà si concretizza nella possibilità di scegliere. Bene, questo virus ci mette di fronte a un interrogativo forte di fronte alla scelta. Banalissimamente: sto in casa o esco? Porto la mascherina o non la porto? Credo che sia importante, anche in questo caso, identificare i fini, le finalità. Pur di stare senza mascherina, cosa preferisco fare? Preferisco infettare gli altri, perché possano morire? Oppure preferisco essere infettato dagli altri, perché possa essere io morire? È sempre il problema di scopo e strumento, comportamento e finalità. Però, per fare questa scelta, è necessario mettersi dentro un minimo di consapevolezza.

Un minimo di consapevolezza. Forse, potremmo aggiungere, anche un minimo di coscienza?

Il termine coscienza è un temine complesso. Vuol dire rispondere a dei criteri morali. Sotto questo profilo potremmo superare la questione, perché dovrebbe essere immediatamente evidente che contribuire a diffondere un virus è uno svantaggio anche per sé stessi. Quando esco, portando rigorosamente la mascherina e stando attento a mantenere le distanze, noto che ci sono persone – poche, in verità – che se ne vanno in giro, con un gran sorriso, senza la mascherina e non badando ad alcuna cautela. A me è successo di dire a una di queste persone: guardi, che io la metto, la mascherina, anche per proteggere lei, perché ipoteticamente potrei essere contagiato io e quindi potrei contagiarla. Sul viso di quella persona l’espressione è cambiata subito. Però ci sono anche quelli che pensano di essere assolutamente immuni dalla possibilità di essere contagiati. E questo non sta nella natura delle cose. Magari per i ragazzi è molto più facile non essere contagiati, è molto più facile non subire delle conseguenze dirette. E sottolineo, delle conseguenze dirette. Ma di conseguenze indirette, eccome. Perché può darsi che abbiano dei nonni cui vogliono bene, che potrebbero essere vittime della loro irresponsabilità. È necessario capire che tutto è in relazione.

A proposito delle responsabilità che abbiamo nei confronti di tutti, nel libro sono davvero molto importanti le pagine che dedica al tema della dignità della persona. Un punto da cui ripartire?

La dignità della persona è il punto di partenza della nostra Costituzione, ed è frutto dall’esperienza che hanno fatto coloro che l’hanno scritta. Perché uomini e donne sono tutti riconosciuti nella loro dignità di essere umani? Per poter avere un futuro. Perché se noi discriminiamo, il futuro non ce l’abbiamo più. Chi ha scritto la Costituzione ha vissuto una guerra mondiale, qualcuno anche due, ha vissuto la Shoah, la bomba atomica: eventi che hanno messo a repentaglio il futuro di tutti, e sicuramente lo hanno stravolto. I padri costituenti, allora, si sono posti un problema: come facciamo ad avere ancora un futuro, come facciamo a preservare l’umanità? Iniziamo dalla considerazione che tutti noi siamo importanti e siamo importanti tanto quanto gli altri. E da questa osservazione che poi deriva tutto il resto. «L’Italia ripudia la guerra». Perché ripudia la guerra? Perché tutti, anche “quegli altri”, sono importanti tanto quanto noi. «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’essere umano»: non solo dei maschi, non solo dei cattolici; riconosce e garantisce i diritti di tutti. È un superamento dell’ottica secondo la quale la diversità crea inimicizia. La diversità, invece, in questo modo, diventa un valore.

Vorrei concludere la nostra conversazione ritornando sul problema della trasgressione e della pena. Non di rado dimentichiamo che la nostra Costituzione sancisce che «le pene devono tendere alla rieducazione del condannato»: invece, molto frequentemente, e da tanti, vengono intese come vendette applicate dallo Stato. In che modo, dunque, dovremmo cominciare a cambiare la nostra visione della pena?

Premesso che chi è pericoloso sta da un’altra parte. Perché non si può consentire, a chi vuol fare male agli altri, di farlo. Però “quest’altra parte” deve essere un luogo dove tutti i suoi diritti fondamentali sono garantiti: il diritto allo spazio vitale, alla salute. Il pericoloso sta da un’altra parte, intanto che è pericoloso. “Intanto che è pericoloso”, però, quando smette di esserlo, rientra nella società. Per recuperare le persone si seguono dei percorsi. Oggi il carcere non è l’unica conseguenza della trasgressione. Perché ci sono anche le misure alternative, che al momento sono applicate tanto quanto la pena della detenzione. E se guardiamo i risultati, la recidiva di chi è stato in carcere è incredibilmente superiore a quella di chi ha scontato la sua trasgressione attraverso l’applicazione dell’affidamento ai servizi sociali. Queste sono cose sulle quali bisogna riflettere: cosa vogliamo? Vogliamo vendicarci o vogliamo recuperare le persone e quindi essere più sicuri?

[Gherardo Colombo sarà ospite domani dell’I.S. “Giovanni XXIII - Cosentino” per la rassegna Informazione e mafie. Capire per lottare. L’incontro, organizzato con il sostegno del Consorzio Trapanese per la Legalità e lo Sviluppo, sarà riservato ai ragazzi del liceo classico e si terrà attraverso la piattaforma di Google Meet]