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30/12/2020 06:00:00

I fatti dell'anno: le operazioni antimafia nel trapanese, da "Cutrara" a "Ruina"

Castellammare, Paceco, Calatafimi Segesta, sono le tre città della provincia di Trapani che nel 2020 sono state al centro di tre grandi operazioni antimafia che hanno fatto emergere ancora una volta il legame e gli intrecci tra criminalità organizzata, imprenditoria e politica. Tra i fatti dell’anno non potevamo non inserire alcune delle più importanti operazioni di contrasto a Cosa nostra, - smantellando intere famiglie mafiose e comunque assestando nuovi duri colpi alla rete di fiancheggiatori del boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro.

Operazione Cutrara - Una ritrovata centralità della famiglia mafiosa di Castellammare nelle attività di Cosa nostra, il coinvolgimento della politica, lo stretto legame con la consorteria americana di New York, che ha gran parte delle sue radici proprio in personaggi della città del Golfo, e non ultimo il forte legame con il boss di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro.
Ha messo in luce tutto questo l’operazione antimafia “Cutrara” che, all’alba del 16 giugno 2020 con l’impiego di 200 militari dell'Arma, il supporto di unità navali, aere e reparti specializzati come lo Squadrone Eliportato Cacciatori di Sicilia e unità cinofile per la ricerca di armi, ha smantellato la famiglia mafiosa castellammarese con 13 arresti e 11 denunce in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Palermo nei confronti degli affiliati alla famiglia mafiosa di Castellamare del Golfo.

Le accuse - Le accuse a carico dei tredici arresti eseguiti dai carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Trapani, guidato dal tenente colonnello Antonio Merola, vanno dall'associazione di tipo mafioso, estorsione, furto, favoreggiamento, violazione della sorveglianza speciale e altro, tutti reati aggravati dal metodo mafioso. Nell'ordinanza era inclusa una 14esima persona ma nel frattempo è deceduta. Altre 11 persone sono state denunciate a piede libero. Eseguite inoltre decine di perquisizioni, tuttora in corso.

Le indagini - Coordinate dal Procuratore Capo Francesco Lo Voi, dal Procuratore Aggiunto Paolo Guido e dai Sostituti Procuratori Gianluca De Leo e Francesca Dessì, «hanno permesso di disarticolare la famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo, che nonostante i dissidi interni, vede saldamente al vertice il pregiudicato Francesco Domingo, soprannominato Tempesta, già condannato a 19 anni di carcere per associazione di tipo mafioso ed altro e ritornato in libertà nel marzo del 2015», dicono gli investigatori.

Indagato il sindaco di Nicola Rizzo - C'è anche il Sindaco di Castellammare del Golfo, Nicola Rizzo, tra gli indagati dell'operazione. L'abitazione del primo cittadino è stata perquisita all'alba. Rizzo ha ricevuto un avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa, con contestuale invito ad essere interrogato. Non si sa in quale contesto si inserisca l'episodio riferito a Rizzo che, bisogna dirlo, ha sempre fatto della legalità e della lotta alla mafia un punto fermo della sua amministrazione. E' in carica dal 2018. L'episodio contestato a Rizzo si riferisce ad una concessione edilizia richiesta dagli arrestati dell'operazione. Sarebbero coinvolti anche alcuni tecnici comunali. “Ho piena fiducia nella Magistratura e nel lavoro delle Forze dell’ordine. Sono sereno. Sono assolutamente disponibile ad essere sentito immediatamente dalla Magistratura per chiarire la mia posizione poiché ho sempre operato con la massima trasparenza”. Ha dichiarato il sindaco di Castellammare del Golfo, Nicolò Rizzo, raggiunto dall’avviso di garanzia nell'ambito dell'operazione antimafia “Cutrara”

Gli altri indagati – Oltre al Sindaco di Castellammare del Golfo, Nicola Rizzo, tra gli indagati dell'operazione antimafia "Cutrera" c’è l'ex vice presidente del Consiglio comunale di Castellammare del Golfo, Francesco Foderà, scoperto a rivolgersi al capo mafia locale dopo aver subito il furto di un suo mezzo agricolo, e all'avvocato trapanese Francesco Di Bono, ex presidente del consiglio comunale di Trapani, intercettato a discutere di vertenze da risolvere con il capo mafia di Trapani Francesco Virga che in carcere ha ricevuto la notifica di questa nuova ordinanza. Domingo, "ha una particolare inclinazione alla violenza, che ha sempre caratterizzato le sue condotte associative, tanto da avere egli ricevuto dagli allora vertici del sodalizio, nel corso della sua lunga militanza in Cosa nostra, in più occasioni il compito di organizzare gravi atti dinamitardi a scopo estorsivo e tanto da essere riuscito a dirigere e organizzare un'attività estorsiva capillare in danno di tutti gli imprenditori del territorio". "È proprio in ragione di tali caratteristiche e del pericolosissimo profilo criminale di Domingo che, all'atto della sua scarcerazione, è stata avviata l'attività investigativa nei suoi confronti, apparendo altamente verosimile che lo stesso Domingo, tornato in libertà, acquisisse nuovamente il controllo della famiglia mafiosa, che mai aveva tradito e dalla quale mai si era dissociato", scrive il gip nella misura cautelare.

Operazione antimafia tra Castellammare e Paceco - A qualche settimana dall’operazione “Cutrara” che ha smantellato la consorteria castellammarese, e che vede il sindaco, Nicolò Rizzo, indagato, è ancora il Comune che si affaccia sul Golfo, protagonista della cronaca, assieme al Comune di Paceco.

Cinque le misure cautelari, tra le quali, i due arresti dei boss, rispettivamente di Castellammare e Paceco, Mariano Asaro e Carmelo Salerno, (già in carcere arrestato nell'operazione Scrigno) e decine di perquisizioni. Ancora una volta sono gli intrecci e gli affari che legano la consorteria mafiosa e il mondo della politica al centro di tutta l’inchiesta. Ed è proprio l’ex deputato regionale del PD, Paolo Ruggirello, uno degli indagati ad aver ricevuto un avviso di garanzia, a qualche giorno dal suo ritorno a casa, dopo che gli erano stati accordati gli arresti domiciliari. Ma non è il solo uomo politico indagato. Sotto inchiesta, coordinata dalla Dda di Palermo, anche il Sindaco di Paceco, Giuseppe Scarcella, che ieri nel corso dell’interrogatorio si è avvalso della facoltà di non rispondere

Gli indagati - I Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Trapani, hanno eseguito l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del Tribunale di Palermo su richiesta della locale Procura della Repubblica – DDA. In carcere per associazione di tipo mafioso sono finiti Mariano Asaro di Castellammare e Carmelo Salerno di Paceco. Maria Amato di Alcamo e Maria Vincenza Occhipinti di Paceco sono state raggiunti da ordinanza di sottoposizione all’obbligo di dimora, mentre al medico, Vito Lucido, originario di San Vito Lo Capo, è stata emessa una misura interdittiva del divieto di esercitare la professione per anno uno. Tra gli indagati anche Paolo Ruggirello e il sindaco di Paceco, Giuseppe Scarcella. Eseguite inoltre decine di perquisizioni.

Chi è Mariano Asaro - Al centro dell’inchiesta coordinata dal Procuratore Capo di Palermo Francesco Lo Voi, dal Procuratore Aggiunto Paolo Guido e dal Sostituto Procuratore Gianluca De Leo, c’è il boss Mariano Asaro. La storia di Asaro appartenente a Cosa nostra inizia già prima degli anni 80, quando viene affiliato alla famiglia mafiosa di Castellamare del Golfo, all’interno della quale rivestiva una posizione di vertice e viene autorizzato dai vertici di Cosa Nostra, in particolare da Vincenzo Virga, ad avere rapporti con personaggi mediorentali fornitori di esplosivi. Fu anche a lungo latitante ed inserito nella lista dei trenta latitanti più pericolosi fino all’arresto nel 1997. Il nome di Mariano Asaro insieme a quello di altri esponenti di Cosa nostra, fra i quali Mariano Agate e Natale L’Ala, fa parte dell'elenco degli iscritti alla loggia massonica coperta "Iside 2" scoperta nel 1986 all’interno del circolo Scontrino presieduto dal maestro venerabile Gianni Grimaudo. Asaro è stato accusato, ma poi prosciolto, dei fatti di sangue tra i più gravi della storia mafiosa della provincia di Trapani, ma poi condannato più volte in via definitiva per associazione mafiosa, detenzione di armi ed estorsione.

Il progetto dello studio odontoiatrico di Mariano Asaro –
Tornato in libertà nel 2018 Asaro lavora ad un progetto imprenditoriale illecito, che poi effettivamente portò avanti: costituire una società, da intestare fittiziamente alla cognata Maria Vincenza Occhipinti, raggiunta dalla misura cautelare dell’obbligo di dimora, per la gestione di un ambulatorio di odontoiatria da aprire a Paceco. In questo progetto ASARO era coadiuvato fattivamente anche da un’altra indagata, AMATO Maria, anch’ella raggiunta da misura cautelare dell’obbligo di dimora, moglie del pregiudicato mafioso COPPOLA Rocco Antonino, già condannato in via definitiva per associazione di tipo mafioso dalla Corte d’Appello di Palermo per aver predisposto quanto necessario per l’organizzazione di incontri con vari latitanti tra cui Matteo MESSINA DENARO e Vincenzo SINACORI. L’AMATO, in qualità di collaboratrice di uno studio notarile, predisponeva la documentazione e gli atti per la costituzione della società di capitali voluta da ASARO. Mentre il COPPOLA presentava ad ASARO il medico compiacente, LUCIDO Vito, raggiunto da misura inderdittiva di sospensione dall’esercizio dell’attività di medico per un anno.

Il sostegno ad Asaro di Paolo Ruggirello e Carmelo Salerno - Ma ASARO poteva contare ancora su due figure molto importanti. Il capo mafia di Paceco, Carmelo SALERNO, anch’egli arrestato, e l’ex deputato regionale Paolo RUGGIRELLO al quale i Carabinieri hanno notificato l’informazione di garanzia. Quest’ultimo veniva incaricato, in seguito ad incontri riservati che ASARO riusciva ad organizzare grazie proprio al SALERNO, di attivarsi con i vertici dell’ASP affinché l’ambulatorio di odontoiatria fosse convenzionato con il servizio sanitario.
Insomma un sistema ben congeniato che, come osserva il GIP nell’ordinanza di custodia cautelare, aveva permesso ad ASARO di potere contare, in qualsiasi momento, sui suoi qualificati contatti, derivanti dall'appartenenza a "cosa nostra" per avviare ogni attività fonte di guadagno, sì da penetrare massivamente e con straordinaria speditezza ed efficacia nel tessuto economico del contesto territoriale di riferimento.

Il boss Asaro: “Al Comune di Paceco non ci sono problemi” - Lo diceva con convinzione il boss di Castellammare del Golfo Mariano Asaro. Aveva individuato il locale per lo studio odontoiatrico e c'erano delle autorizzazioni da chiedere. Ecco cosa dice Asaro, intercettato, all'interno dell'immobile mentre parla con il nipote Gaspare Chiarenza: " ... non c'è problema al Comune! Non c'è problema al Comune ... al Comune non d sono problemi ... il Sindaco ... al Comune non ci sono problemi... il Sindaco il Sindaco è Dattularo (originario di Dattilo frazione del Comune di Paceco ndr.) Il Sindaco di Paceco è Dattularo ... arrivo lì e gli dico al Sindaco: "com 'è no? E allora facci la variante!"... io non ho problemi con lui... io arrivo lì... Peppe Scarcella ... ». Il sindaco Scarcella lo riceve il 28 Febbraio 2019 per fornirgli rassicurazioni per un certificato di agibilità in favore del suocero Vito Occhipinti, per un immobile a Dattilo: "Noialtri dobbiamo fare quella cosa che tu mi hai detto .. e la facciamo ..." Poi un altro incontro, l'8 Aprile, nel quale il Sindaco chiama Asaro "Don Mariano" e viene informato da Asaro della prossima apertura dello studio medico: "Noi altri praticamente stiamo aprendo lo studio qui a Paceco .. lo studio dentistico ...". E ancora: "... A me interessa che mi danno la SCIA subito per cominciare a tramezzare altrimenti mi perdo di casa" . E il Sindaco Scarcella, oggi indagato per concorso esterno, non si tira indietro.

Operazione Ruina - Mafia, imprenditoria e politica ancora una volta intrecciati in provincia di Trapani alla luce dell’operazione “Ruina” che, all’alba di ieri ha visto gli uomini del Servizio centrale operativo e delle squadre mobili di Trapani e Palermo assestare un duro colpo alla famiglia mafiosa di Calatafimi-Segesta, i cui esponenti e vertici sono ritenuti vicini al numero uno di cosa nostra, Matteo Messina Denaro.

Tredici le persone finite in manette, tra cui l’esponente di spicco della famiglia mafiosa di Calatafimi al vertice capo della locale famiglia mafiosa, Nicolò Pidone. Venti gli indagati tra i quali anche il sindaco di Calatafimi-Segesta, Antonino Accardo, divenuto sindaco lo scorso anno e accusato di corruzione elettorale ed estorsione, e diversi imprenditori.
Chi sono i 13 arrestati - Giuseppe Aceste, nato a Erice il 20 giugno 1975; Salvatore Barone, nato a Calatafimi il 16 gennaio 1957; Ludovico Chiapponello, nato ad Alcamo il 17 giugno 1983; Giuseppe Fanara, nato a Erice il 19 marzo 1979; Giuseppe Gennaro, nato a Calatafimi il 26 giugno 1967; Andrea Ingraldo, nato ad Agrigento il 21 novembre 1956; Rosario Tommaso Leo, nato a Vita il 9 giugno 1969; Stefano Leo, nato a Vita il 20 ottobre 1970; Nicolò Pidone, nato a Calatafimi il 10 giugno 1962; Gaetano Placenza, nato a Calatafimi il 18 gennaio 1953; Antonino Sabella, nato a Castellammare del Golfo il 30 settembre 1957; Domenico Simone, nato a Erice il 17 ottobre 1974; Leonardo Urso, nato a Marsala il 27 dicembre 1958. Le accuse ipotizzate sono, a vario titolo, associazione mafiosa, estorsione, incendio, furto, favoreggiamento personale e corruzione elettorale, aggravati dal metodo mafioso.

Il boss Nicolò Pidone - 57 anni, ex operaio stagionale della Forestale. Secondo le indagini, nella sua masseria si tenevano le riunioni delle cosche. Già condannato per mafia nel procedimento penale scaturito dall’operazione nota come “Crimiso”, sentenza poi confermata dalla Corte d’appello e divenuta definitiva. Nel corso del processo a suo carico, in particolare, era stata accertata la sua partecipazione fin dal 2009 alla famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo, retta in quegli anni da Michele Sottile in ragione dello stato di detenzione del suo storico capo Francesco Domingo.
Pidone, scarcerato il 17 marzo 2017, è stato poco dopo sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di Calatafimi – Segesta per tre anni. Provvedimento che ne ha riconosciuto per l’ennesima volta la indiscutibile caratura criminale. Nonostante il carcere e la pesante misura di prevenzione personale, le indagini svolte hanno consentito di accertare che Pidone non solo non ha mai rescisso i propri legami con Cosa nostra ma nell’organizzazione ha progressivamente assunto prestigio e autorevolezza, giungendo addirittura a ricoprire un ruolo di capo della famiglia mafiosa di Calatafimi. Sul ruolo svolto dal Pidone in seno alla predetta famiglia ha riferito il collaboratore di giustizia Nicolò Nicolosi, autore dell’omicidio Lombardo a Partanna, commissionato dal mafioso Scimonelli.

Altra figura di spicco tra gli altri arrestati è Salvatore Barone – Altra figura di spicco arrestata è Salvatore Barone, fino alla scorsa estate presidente del Consiglio di Amministrazione pro tempore dell’azienda per i trasporti Atm di Trapani, già direttore generale della stessasocietà a partecipazione pubblica. Barone, oggi è presidente della cantina sociale Kaggera di Calatafimi – altra carica da lui da tempo ricoperta - è risultato completamente assoggettato ai voleri del capo della locale famiglia mafiosa. E' accusato di associazione mafiosa. La Cantina Kaggera prende il nome dall'omonima contrada in cui ha sede, riunisce più di 800 produttori, con una superfice di circa 2000 ettari di terreno.
Pidone, direttamente o attraverso il proprio uomo di fiducia, Gaetano Placenza, allevatore messo ai vertici della società, decideva chi assumere scegliendo il personale in modo da aiutare le famiglie dei detenuti mafiosi e disponeva che ad esponenti di Cosa Nostra venissero dati soldi.
Tra le assunzioni più importanti, volte a favorire i clan, figura quelle di Veronica Musso, figlia del boss Calogero Musso, ergastolano, ex capo della «famiglia» di Vita. Barone, inoltre, avrebbe procurato voti al sindaco di Calatafimi Segesta, Antonino Accardo, oggi indagato per corruzione elettorale.

 

Gli altri indagati - Tra gli indagati spiccano i nomi di personaggi già condannati per mafia come Leo Rosario Tommaso, pregiudicato attualmente dimorante a Marsala, ma anche il cugino di questi Leo Stefano, a carico del quale sono stati documentati contatti recenti con il rappresentante della famiglia di Calatafimi. Stefano Leo, personaggio di rilievo era vicino al defunto boss Gondola Vito e al condannato Giglio Sergio, entrambi coinvolti nelle vicende della veicolazione dei “pizzini” diretti al capo indiscusso di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, venute alla luce nel corso delle varie fasi dell’operazione denominata “Ermes”. Tra coloro che favorivano gli incontri e le comunicazioni, il quarantaseienne imprenditore agricolo vitese Simone Domenico. Altro arrestato è Placenza Gaetano, allevatore, parte dell’organigramma della cantina Kaggera, in qualità di consigliere, ne pilotava le policy di governo, decidendo le assunzioni di personale finalizzate a dare sostentamento alle famiglie dei detenuti mafiosi e la dazione di somme di denaro, a favore di esponenti di Cosa Nostra, aggirando le norme statutarie interne. Gli altri fermati ed aderenti all’associazione mafiosa, Aceste Giuseppe, Sabella Antonino – quest’ultimo già in carcere perché colpito da provvedimento restrittivo a seguito dell’operazione “Cutrara”, coordinata dalla D.D.A di Palermo, nello scorso giugno - e Fanara Giuseppe, agente di commercio. Tra le persone fermate anche Gennaro Giuseppe, altro esponente della famiglia mafiosa di Calatafimi, accusato, oltre che di associazione mafiosa, anche di aver rubato un trattore agricolo, nell’interesse dell’associazione stessa, unitamente agli altri esponenti di Cosa Nostra Francesco Domingo, Stabile Sebastiano e Salvatore Mercadante, raggiunti da provvedimenti restrittivi nell’ambito dell’indagine “Cutrara” incentrata sulla famiglia di Castellammare del Golfo.
Destinatario di fermo anche il trentasettenne calatafimese Chiapponello Ludovico, indagato per aver favorito l’associazione mafiosa mediante l’effettuazione di un’attività di bonifica, finalizzata alla rilevazione della presenza di eventuali microspie all’interno della fatiscente dependance del capo della famiglia mafiosa Nicolò Pidone.
Tra gli indagati anche un appartenente alla Polizia Penitenziaria, in servizio al carecere Pagliarelli di Palermo, cui è contestato il reato di rivelazione di segreto d’ufficio, commesso al fine di agevolare Cosa Nostra.

Indagato il sindaco di Calatafimi Antonino Accardo - L’operazione “Ruina” ha scosso anche i palazzi della politica a Calatafimi, visto che è indagato il primo cittadino, Antonino Accardo, accusato di corruzione elettorale e tentata estorsione, con l’aggravante di mafia.
Eletto un anno e mezzo fa con 1900 preferenze, secondo l'accusa, avrebbe comprato voti dalla cosca locale. Contro Accardo ci sono alcune intercettazioni, in una delle quali si parla di voti in cambio di soldi, 50 euro a voto. Per lui anche l'accusa di tentata estorsione.
Si è avvalso della facoltà di non rispondere Antonino Accardo. Secondo la Procura Antimafia Accardi sarebbe diventato sindaco di Calatafimi “comprando” i voti e godendo dell’appoggio dei mafiosi. Ieri il Sindaco è stato interrogato dai magistrati e ha deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere, nell'attesa di vedere tutte le carte dell'indagine che lo riguarda.
Al momento contro di lui ci sono le intercettazioni telefoniche. Come quella del 15 Aprile scorso. Un uomo, tale Paolino Loria, che vive nelle case popolari, chiama il sindaco. Chiede il suo intervento per zittire i vicini troppo rumorosi. Il Sindaco lo invita ad essere meno volgare. Potete leggere qui l'intercettazione.