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03/02/2021 06:00:00

Mafia, l'operazione "Xydi" e la conferma di capo di Cosa nostra per Messina Denaro

C'è Matteo Messina Denaro, il boss di Castelvetrano latitante dal giugno del 1993, ma anche il boss Giuseppe Falsone di Campobello di Licata, rinchiuso al 41 bis e i capi delle famiglie mafiose dell'agrigentino, tra i quali Antonio Gallea, ergastolano della Stidda, ma anche l'avvocato Angela Porcello, nel cui studio avvenivano costantemente summit di mafia e i due funzionari di polizia, Filippo Pitruzzella e Giuseppe D'Andrea, che hanno rivelato informazioni su indagini ai boss. C'è tutto questo nell'operazione antimafia "Xydi" che ieri ha portato  all'arresto di 22 persone e al provvedimento nei confronti del boss castelvetranese, unico latitante, e che ha interessato le province di Agrigento, Palermo e Trapani.

L'inchiesta "Xydi" - L'indagine dei carabinieri del Ros  svela come i boss, anche se ristretti al 41 bis, riescano a comunicare con l’esterno, a riorganizzare i clan, a tramare, a passarsi messaggi anche tra di loro attraverso una penalista dell’Agrigentino, divenuta - secondo quanto emerso dalle indagini - organizzatrice del mandamento mafioso di Canicattì, che utilizzava anche il proprio studio legale per i summit. L'indagine colpisce le famiglie mafiose agrigentine e trapanesi ed è coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall'aggiunto Paolo Guido e dai pm Gery Ferrara, Claudio Camilleri e Gianluca De Leo.  Gli arrestati sono accusati a vario titolo di far parte dell’associazione mafiosa cosa nostra, di aver commesso delitti contro l’incolumità individuale, la libertà personale e il patrimonio, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici, per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé e gli altri, e di intervenire sulle istituzioni e la pubblica amministrazione.

I nomi degli arrestati nell'operazione: l'unico latitante MESSINA DENARO Matteo, detto u Siccu, nato a Castelvetrano il 26 aprile 1962; FALSONE Giuseppe, nato a Campobello di Licata (AG) il 28.08.1970; BUGGEA Giancarlo, nato a Palermo il 14.12.1970; BONCORI Luigi, nato a Ravanusa (AG) il 12.04.1952; CARMINA Luigi, nato a Caltanissetta il 11.05.1965; CASTELLO Simone, nato a Villabate (PA) il 11.10.1949; CHIAZZA Antonino, nato ad Agrigento il 28.10.1969; CIGNA Diego Emanuele, nato a Canicattì (AG) il 31.10.1999; D’ANDREA Giuseppe, nato ad Agrigento il 17.10.1971; DI CARO Calogero, nato a Canicattì (AG) il 11.01.1946; FAZIO Pietro, nato a Canicattì (AG) il 12.05.1972; GAETANI Gianfranco Roberto, nato a Naro (AG) il 09.12.1967; GALLEA Antonio nato a Canicattì (AG) il 26.04.1957; GIULIANA Giuseppe, nato in Francia il 15.11.1965; LOMBARDO Gaetano, nato a Ravanusa (AG) il 22.02.1956; LOMBARDO Gregorio, nato a Favara (AG) il 29.04.1954; OLIVERI Antonino, nato a Canicattì (AG) il 15.12.1984; PACECO Calogero, nato a Naro (AG) il 20.11.1964; PIRRERA Giuseppe, nato a Favara (AG) il 02.01.1959; PITRUZZELLA Filippo, nato a Campobello di Licata (AG) il 14.11.1960; PORCELLO Angela, nata ad Agrigento il 07.08.1970; RINALLO Santo Gioacchino, nato a Canicattì (AG) il 31.08.1960; SICILIA Giuseppe, nato ad Agrigento il 01.01.1979.

Messina Denaro ai vertici di Cosa nostra - Tra i destinatari del fermo ordinato dalla Procura palermitana c’è come detto pure Matteo Messina Denaro, che prende le decisioni più importanti per Cosa nostra. E' quello che emerge dall'inchiesta dei carabinieri del Ros che ietri ha portato al fermo di 22 presunti mafiosi trapanesi e agrigentini. I dialoghi registrati dalle microspie dei carabinieri dimostrano che c’è un canale di trasmissione attivo tra l’ultimo boss stragista ancora latitante (dal 1993) e i capi delle cosche agrigentine. A lui i capimafia della provincia «riconoscono unanimemente l’ultima parola sull’investitura ovvero la revoca di cariche di vertice all’interno dell’associazione». C’era infatti bisogno del suo beneplacito per l’estromissione di un «uomo d’onore» dal mandamento di Canicattì, e questo dimostra – concludono i pm – che «Messina Denaro è a tutt’oggi in grado di assumere decisioni delicatissime per gli equilibri di potere in Cosa nostra, nonostante la sua eccezionale capacità di eclissamento e invisibilità».

 Il diaologo il boss Falsone e l'avvocata Porcello e l'esempio del carciofo -  Per 2 anni i capimafia di diverse province siciliane si sono riuniti nello studio di un'avvocata Porcello di Canicattì che era la compagna di un imprenditore già condannato. Il suo studio era stato scelto come base logistica dei clan perché la legge limita le attività investigative negli uffici degli avvocati. C'è nell'indagine anche un dialogo tra l’avvocata Angela Porcello, fra i fermati del blitz dei carabinieri del Ros, e il capomafia agrigentino Giuseppe Falsone, detenuto al 41 bis nel penitenziario di Novara.

Le parole di Falsone che fa un’analogia tra la società e il carciofo: “Quando c’è miseria in un territorio può succedere di tutto, la Sicilia è una terra desolata, di miseria, si formeranno situazioni di piccolo banditismo che sarà micidiale”. Ed ecco il paragone: “… lei ha presente come si coltiva il carciofo, quando si tira con la zappa, spuntano i carduna, ogni carciofo spara quaranta carduna”. Ancora: “… quando non c’è buon senso e ragionevolezza, quando non c’è un punto di riferimento chi si deve prendere la briga… si indirizza la società ci vuole un minimo di organizzazione sociale, a noi ci hanno macellati, è vero che ci sono state cose brutte ma anche cose positive per la società, non si deve prendere solo il bello anche il brutto, la vita è complessa”. 

Il ruolo di Angela Porcello - Gli inquirenti hanno accertato che un avvocato, Angela Porcello, compagna di un mafioso, Giancarlo Buggea, aveva assunto un ruolo di vertice in Cosa nostra organizzando i summit, svolgendo il ruolo di consigliera, suggeritrice e ispiratrice di molte attività dei clan. Rassicurati dall'avvocato sulla impossibilità di effettuare intercettazioni nel suo studio, i capi dei mandamenti di Canicattì, della famiglia di Ravanusa, Favara e Licata, un ex fedelissimo del boss Bernardo Provenzano di Villabate (Pa) e il nuovo capo della Stidda si ritrovavano secondo le indagini nello studio, per discutere di affari e vicende legate a Cosa nostra. Le centinaia di ore di intercettazione disposte dopo che, nel corso dell'inchiesta, i carabinieri hanno compreso la vera natura degli incontri, hanno consentito agli inquirenti di far luce sugli assetti dei clan, sulle dinamiche interne alle cosche e di coglierne in diretta, dalla viva voce di mafiosi di tutta la Sicilia, storie ed evoluzioni. Uno spaccato prezioso che ha portato all'identificazione di personaggi ignoti agli inquirenti e di boss antichi ancora operativi.

La Stidda si riorganizza - Nel mandamento mafioso di Canicattì la Stidda torna a riorganizzarsi e ricompattarsi attorno alle figure di due ergastolani riusciti a ottenere la semilibertà. In particolare uno dei capimafia, Antonio Gallea, indicato come il mandante dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, avrebbe sfruttato i premi che in alcuni casi spettano anche ai condannati al carcere a vita, per tornare ad operare sul territorio e rivitalizzare la Stidda che sembrava ormai sconfitta.

I poliziotti arrestati Filippo Pitruzzella e Giuseppe D'Andrea - L'inchiesta riguarda anche un ispettore e un assistente capo della Polizia, Filippo Pitruzzella e Giuseppe D'Andrea, accusati di concorso esterno in associazione mafiosa, accesso abusivo al sistema informatico e rivelazione di segreti d'ufficio. L'ispettore di Polizia del Commissariato di P.S. di Canicattì, ha fatto sapere più volte al boss Giancarlo Buggea e all'avvocato Angela Porcello, informazioni segrete su attività investigative in corso, in particolare su quelle potenzialmente pregiudizievoli nei loro confronti o comunque relative all’associazione mafiosa agrigentina, e annotando su sollecitazione della Porcello, ciò che era finalizzato all’avvio di indagini nei confronti di esponenti mafiosi, o soggetti ad essi contigui, antagonisti rispetto a Giancarlo Buggea e alla stessa Porcello. Inoltre nella propria qualità di Ispettore della Polizia di Stato, si è abusivamente introdotto nel sistema informatico relativo alla banca dati “S.D.I.”, protetto da misure di sicurezza, per finalità diverse da quelle per le quali era abilitato e comunque estranee alla sua funzione svolta all’interno del Commissariato. Giuseppe D’Andrea assistente capo in servizio al Commissariato di P.S. di Canicattì,  si è introdotto abusivamente in un sistema informatico protetto da misure di sicurezza per acquisire notizie su persone vicine ai boss e con il concorso di altro pubblico ufficiale ancora non identificato, sull’imprenditore Giuseppe Fonti. Fatti commessi nella qualità di pubblico ufficiale, e in violazione dei doveri inerenti la propria funzione e su sistemi informatici e telematici relativi all’ordine pubblico e sicurezza pubblica, o comunque di interesse pubblico.

L'avvocato Porcello e il boss Falsone e la difesa del trapanese Pietro Virga - L’operazione antimafia “Xydi” coinvolge anche il boss di Trapani, Pietro Virga, il figlio del capomafia Trapanese Vincenzo Virga, ritenuto a capo della famiglia di Trapani e per questo arrestato nell’operazione “Scrigno”. Ed è lo stesso boss dell’agrigentino, Giuseppe Falsone, al centro dell'operazione  che consiglia a Pietro Virga e a Alessandro Emmanuello, boss nisseno, di nominare difensore di fiducia l’avvocato Angela Porcello con lo scopo di potere, anche loro, usufruire del ruolo di messaggero verso gli altri sodali (in libertà e detenuti) che la donna svolgeva per conto della consorteria criminale.

Detenuti al 41 bis che riescono a comunicare tra loro - Dalle intercettazioni dei colloqui tra il boss Giuseppe Falsone e l’avvocato Porcello emerge come, proprio all’interno dei reparti in cui si trovano i detenuti di mafia al regime del 41 bis vi fosse la possibilità che appartenenti a Cosa nostra che insistono in province limitrofe potevano avere possibilità di scambiarsi informazioni.

Falsone chiede alla Porcello di assemere la difesa di Virga - Le stesse ragioni che avevano indotto, come visto, il Falsone a indicare al capo mafia nisseno Emanuello la nomina della Porcello (avere “una finestra.. a quello che succede per l’esterno”), dall’intercettazione dei colloqui telefonici tra i due arrestati si è appreso che Falsone chiedeva al legale di assumere la difesa di Pietro Virga figlio del capo della provincia mafiosa di Trapani Vincenzo, detenuto in custodia cautelare per essere stato riconosciuto attuale capo della famiglia mafiosa di Trapani.

In un colloquio telefonico del 7 gennaio 2021 inizialmente i due utilizzavano il solito linguaggio allusivo e pieno di metafore, al pari di quanto registrato nei colloqui precedenti:

FALSONE: eh… le devo mandare… le devo mandare o un libro o il titolo di un libro, che fa riflettere, sullo… sullo stoicismo…
PORCELLO: ma io riflettuta precisa sono, gli altri è che non sono riflettuti, e lei mi capisce!
FALSONE: (ride, ndr) no, lo so… si…
PORCELLO: gli altri non sono riflettuti, io… io ha che sono riflettuta?! (si sovrappongono le voci, ndr)

FALSONE: e lei… e lei… e lei lo fa… gli mando… gli mando questo libro e lei… (si sovrappongono le voci, ndr)

PORCELLO: che sono tranquilla…
FALSONE: e lei lo condivide, lo condivide…
PORCELLO: eh… camminare la… la… la barca è che non è il massimo, comunque!
FALSONE: e piano piano… piano piano, ad un passo alla volta…
PORCELLO: comunque …parole incomprensibili…
FALSONE: ad un passo alla volta, un passo alla volta…

Poi, improvvisamente, quasi a farlo passare come argomento secondario o accidentale, il FALSONE ripeteva lo stesso copione utilizzato con l’avvocato PORCELLO in occasione della richiesta di assumere la difesa di EMANUELLO:

FALSONE: lo sa cosa le volevo dire? Prima che me lo dimentico, no?
PORCELLO: uhm…
FALSONE: qua c’è un picciotto, no?
PORCELLO: uhm…
FALSONE: che…
PORCELLO: si…
FALSONE: ha situazioni… voleva… voleva qualche consiglio giuridico, è…
PORCELLO: gli faccia fare… mi faccia mandare una lettera…
FALSONE: no, no, io voglio fare una cosa, le faccio fare una nomina per una cosa così che ha…
PORCELLO: uhm…
FALSONE: e gli parla quando abbiamo la possibilità di parlare al telefono…
PORCELLO: si…
FALSONE: non è una cosa… che se ha bisogno di qualche consiglio, intanto…
FALSONE, assai significativamente, aggiungeva di essersi preso “la libertà” di ordinare al capo mafia trapanese di nominarla difensore, poiché ella era “in gamba e tutte cose…” Disponibilissima ovviamente la donna, ben lieta, ancora una volta, che FALSONE l’avesse scelta e si fosse fidato di lei:
PORCELLO: si, si…
FALSONE: IO MI SONO PRESO LA LIBERTÀ… dice… gli ho detto: io ho una avvocatessa… gli ho detto… che è in gamba e tutte cose… gli ho detto… (si sovrappongono le voci, ndr)
PORCELLO: LEI SI PUÒ PRENDERE TUTTE QUESTE LIBERTÀ CHE VUOLE!
FALSONE: e ti… e ti può… e ti può dare qualche chiarimento…
PORCELLO: LEI SI PRENDA TUTTE LE LIBERTÀ CHE VUOLE!
FALSONE: poi se ha bisogno se ne parla, però qualche… vuole qualche chiarimento di capire qualche cosa che… non ha… non ha riferimenti tanto buoni a livello legale, no? Ed io ho pensato subito a lei, per potergli dare un quadro, diciamo, a livello di processi… ha processi di associazione, non so come è combinato, non è che mi posso…
PORCELLO: LEI SI… FACCIA CIÒ CHE LEI RITIENE!
FALSONE: non mi… non mi… non mi infilo troppo dentro, va…
PORCELLO: lei faccia ciò che lei ritiene!