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19/03/2021 06:00:00

Il caso Borrometi. Archiviata la denuncia per diffamazione del giornalista contro Pippo Gennuso

Solitamente sono i ‘potenti’ a denunciare i giornalisti per diffamazione. Si tratta delle cosiddette ‘querele temerarie’, un’arma legalmente riconosciuta e ampiamente adoperata per silenziare le tastiere di quei giornalisti che dimostrano di saperla lunga, diciamo.

In questo caso, però, si invertono le parti: è Paolo Borrometi a sporgere querela nei confronti dell’on. Pippo Gennuso accusato di avere delegittimato la sua attività giornalistica.

Non sono dello stesso avviso il Sostituto Procuratore, il dott. Francesco Riccio come il GIP, la dott.ssa Eleonora Schininà del Tribunale di Ragusa che il 9 marzo ha archiviato il procedimento.

Borrometi, nel caso specifico, contestava due post pubblicati sul profilo Facebook dell’on. Gennuso il 28 e 29 dicembre 2018. «I galantuomini dell’antimafia: Montante, Lumia, Morgante e Borrometi?», domandava l’on. Gennuso nel primo post. «Ecco l’antimafia» -annunciava - «Qualcuno avrebbe suggerito a Morgante di assumere Borrometi per rifarsi una verginità dopo gli accordi con Montante. Borrometi, di fatto disoccupato, con una collaborazione con AGI, considerato un paladino dell’antimafia così come lo era il cavaliere Antonio Calogero Montante detto Antonello». Allegato al post incriminato, il link di un articolo che per Paolo Borrometi era stato pubblicato da "laprimatv.it" diretta da Angelo Di Natale ma che, invero, si trattava di un articolo di "ItalyFlash" pubblicato il 25 luglio 2018.

Il giorno seguente, cioè il 29 dicembre 2018, l’on. Gennuso ribadiva: «Signor Borrometi a Rosolini per una volta dica la verità. Il signor Borrometi oggi sarà ospite della mia città, Rosolini, per proseguire nel suo show dell’Antimafia pagnottistica. Ricordi che io la mafia l’ho sempre denunciata», rivendicava l’on. Gennuso. «Nel ’91 lo feci con il clan di Noto e il giudice che emise la sentenza di condanna scrisse nella motivazione del mio coraggio. Se la sentenza è troppo datata gliela invierò a TV2000, nel suo nuovo posto di lavoro. […] Vede, io non cammino né con auto blindate, né con la scorta pagata dai cittadini. Ho solo una vigilanza dinamica da parte dello Stato perché ho denunciato la mafia… Quella vera».

Per il PM, il dott. Francesco Riccio, il tenore dei commenti dell’on. Gennuso, difeso dall'avv. Corrado Di Stefano, rientra nell’ambito dell’espressione del diritto di critica, scriminato ai sensi dell’art.51 c.p., e che i tre commenti si limitavano ad esprimere “un giudizio polemico sull’attività di giornalista svolta dal querelante, invitandolo a raccontare anche momenti della sua vita che l’hanno visto in prima linea nella lotta alla mafia”.

Giudizio confermato dal GIP che ha ribadito l'interesse pubblico alla conoscenza dei fatti, mettendo definitivamente un punto fermo al caso, nonostante l’opposizione all’archiviazione.