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01/11/2022 07:29:00

Mafia, condanne a sei secoli di carcere per i boss dei Nebrodi

 Il processo alla mafia dei Nebrodi davanti al Tribunale di Patti si è concluso con la condanna complessivamente a sei secoli di carcere.

Il dibattimento con 101 imputati è stato celebrato in tempi record e ha visto impegnati 4 pm della Dda di Messina: l'aggiunto Vito Di Giorgio, i magistrati Fabrizio Monaco, Antonio Carchietti e Alessandro Lo Gerfo. Il processo è scaturito dall'operazione denominata "Nebrodi" che, oltre a ricostruire l'organigramma dei clan messinesi, ha scoperto una truffa milionaria, commessa dalle cosche, ai danni dell'Ue.

Le accuse - Gli imputati erano accusati a vario titolo di associazione mafiosa, truffa all'Ue, falso, estorsione, trasferimento fraudolento di valori. A istruire l'atto d'accusa alle "famiglie" mafiose dei Nebrodi dei Batanesi e dei Bontempo Scavo è stata la Dda di Messina che in 20 mesi ha ricostruito davanti al tribunale di Patti gli organigrammi dei clan svelando complicità di prestanomi e insospettabili professionisti. La «mafia dei pascoli» non c'è più, hanno sostenuto i pm. Al suo posto c'è una organizzazione imprenditoriale al passo coi tempi e capace di sfruttare le potenzialità offerte dall'Unione Europea all'agricoltura. Prevalentemente su base familiare, in rapporti con Cosa nostra palermitana e catanese, la mafia dei Nebrodi ha continuato a usare vecchi metodi come la minaccia e la violenza, ma i taglieggiamenti spesso erano finalizzati all'accaparramento di terreni, la cui disponibilità è presupposto per accedere ai contributi comunitari; «settore, questo, - scrisse il gip che firmò oltre 90 misure cautelari e il sequestro di 151 imprese - che costituiva il principale, moderno, ambito criminale di operatività delle famiglie mafiose».

Giuseppe Antoci - «È un momento importante – ha commentato Giuseppe Antoci, ex presidente del Parco dei Nebrodi –. Abbiamo fatto quello che andava fatto, abbiamo superato il silenzio e abbiamo fatto capire che i fondi europei dovevano andare solo alle persone per bene e non ai capimafia». Era stato lui a denunciare gli interessi dei clan messinesi sui fondi europei: «La lotta alla mafia non si può fare solo con la repressione ma va fatta ogni giorno».


Come rientrava il denaro illecito in Italia - Gli inquirenti hanno anche accertato che il denaro illecito transitava spesso su conti esteri per, poi, «rientrare in Italia, attraverso complesse e vorticose movimentazioni economiche, finalizzate a farne perdere le tracce». I clan grazie all'aiuto di professionisti puntavano all'accaparramento di utili, infiltrandosi in settori strategici dell'economia legale e - spiegò il gip - «depredandolo di ingentissime risorse». Sotto processo oggi c'erano i i capi dei clan dei Batanesi e dei Bontempo Scavo. A fiutare l'affare milionario sono stati loro che, anche grazie all'aiuto di un notaio e di funzionari dei Centri Commerciali Agricoli (CCA) che istruiscono le pratiche per l'accesso ai contributi europei, hanno incassato fiumi di denaro sbancando le casse dell'Agea. Parti civili nel processo l'assessorato regionale Territorio ambiente, le associazioni Addiopizzo e SOS imprese, il Parco dei Nebrodi, il centro studio Pio Lo Torre, l'Agea, il Comune di Tortorici.

Le indagini iniziate su input inizialmente anche dall'ex procuratore capo di Messina Maurizio De Lucia ora procuratore a Palermo. In aula anche molti degli avvocati dei 101 imputati che invece erano collegati in videoconferenza. In aula anche Giuseppe Antoci presidente della Fondazione Caponnetto ed ex presidente del Parco dei Nebrodi che ha denunciato il rischio che le mani dei clan arrivassero ai fondi europei.