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05/11/2022 06:00:00

Trapani, l'alluvione del '76, le vittime e la storia che si ripete

 È purtroppo una certezza. Il territorio di Trapani si allaga in seguito alle alluvioni.

Senza voler indagare tutte le possibili cause, perlomeno non in questa sede, ci basta sapere che le conseguenze sono spesso drammatiche, e questo è cronaca dei nostri giorni. Ma anche del passato.

Ad esempio, l’alluvione del 2 settembre 1965, evento che provocò 7 morti e danni irreparabili in buona parte dei quartieri della città e della provincia. Circa 297 mm di pioggia in 6 ore causarono, inoltre, l’esondazione del fiume Baiata; allo stesso modo, gli argini del fiume Lenzi non furono capaci di mantenere le piene. Danni ingentissimi alle saline - la prima a scomparire fu la salina Milo - e nelle campagne, dove si registrò la totalità delle vittime. Dopo un anno, il territorio presentava ancora i segni del disastro. Così l’Onorevole Antonio Montanti nella seduta della Camera del 21 dicembre 1966: “[…] Ma, tornato in Sicilia, in provincia di Trapani, ho ritrovato le strade interrotte, i ponti crollati, le poche industrie esistenti in difficoltà. Si tratta di gente che, nella tragica alluvione del 2 settembre 1965, si è vista infliggere un colpo ancora più duro, che ha aggravato la sua miseria secolare, la sua insufficienza di mezzi, la sua povertà. A distanza di un anno, malgrado il decreto di pubblica calamità, malgrado i discorsi, le promesse e le assicurazioni, la nostra gente è rimasta senza il minimo aiuto […]".

E come non ricordare, proprio nel giorno del suo anniversario, la tragica alluvione del 1976. Si contarono 16 vittime e danni immensi alle strutture abitative e alla rete viaria in tutta la provincia. In quell’occasione il Sindaco Cesare Colbertaldo richiamò in servizio il personale dipendente al quale si unirono i volontari, ma le operazioni di soccorso furono molto difficili anche per i Vigili del Fuoco e le forze di Polizia. In molti quartieri del capoluogo l’acqua superò addirittura la quota del metro. Venne risparmiato solo il centro storico dove l’acqua riuscì a defluire per scaricarsi poi a mare. Oltre mille fra senzatetto e sfollati, cosa che più delle altre scatenò mobilitazioni e proteste a tutti i livelli, e un’interpellanza del Pci all’allora Presidente del Consiglio Aldo Moro. I quotidiani del periodo sfornavano ogni giorno articoli densi di catastrofismo: Enzo Tartamella e Vincenzo Vasile furono i giornalisti maggiormente impegnati nel raccontare il disagio e la costernazione dei trapanesi. La Procura dispose anche un’inchiesta; nel fascicolo con le risultanze dell'indagine si parlò di vera e propria “programmazione” del disastro, data la serie incredibile di ritardi e inadempienze nell’attuazione di opere pubbliche che, se realizzate, avrebbero evitato l'alluvione, come il canale di gronda, la rete fognante, il rimboschimento. Pare che la questione sia per certi versi ancora irrisolta.

Ma quali sono i punti di contatto fra ieri e oggi?

Ce ne sono almeno tre. Il primo. Trapani è un territorio a “notevole rischio idrogeologico”, così come riportato nel piano comunale di protezione civile. Il secondo. Trapani ha un sistema di smaltimento delle acque che puntualmente fallisce se messo a dura prova. Il terzo. Le risorse economiche di volta in volta stanziate si sono sempre rivelate insufficienti. Quest’ultimo è di sicuro il punto più delicato: le casse sono vuote anche se la Sicilia ha ricevuto in tutto 789 milioni di euro per la prevenzione del dissesto idrogeologico.

E come se non bastasse, ci attende la sfida del cambiamento climatico. Già le recenti alluvioni potrebbero spiegarsi in tal senso. In tutti i casi, lo scorso settembre e ottobre la città è stata ancora una volta piagata dalla calamità naturale. Per fortuna stavolta non ci sono state vittime, ma il futuro non appare roseo lo stesso, fintanto che non si metteranno in campo soluzioni strutturali per l’intera provincia.