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25/06/2024 06:00:00

Marsala, 59 anni fa la "Tragedia di Ventrischi". Nove persone morte nel pozzo "maledetto"

 Il 25 giugno di 59 anni fa Marsala visse una delle sue pagine più buie con la "Tragedia di Ventrischi", dove nove persone di ben quattro diversi nuclei familiari, morirono asfissiate all'interno di un pozzo utilizzato per irrigare i campi.

La città era ancora scossa dalla terribile tragedia dello Stagnone che, appena un anno prima, il 1° Maggio del 1964, si concluse con la morte di sedici ragazzi e un chierico.

Il luogo oggi - Siamo stati a Villa Petrosa, c'è anche un vecchio Baglio con tanto di corte e poi un agglomerato di case, l'una a toccare all'altra, e tutte o quasi con persone rimaste coinvolte nella tragedia. Il pozzo non si vede più. Dopo tanti anni è visibile solo una griglia per la raccolta dell'acqua piovana (foto qui sotto e a lato); dietro un cancello chiuso, ad una trentina di metri da quella griglia, c'è l'ingresso con la scala che scendeva tramite una sorta di cunicolo a quel pozzo maledetto. Le persone che abitano lì ricordano ancora quella tragedia, perché l'hanno avuta raccontata dai nonni o dai genitori, o quelli più anziani, invece, l'hanno vissuta in prima persona. Un dolore troppo grande vedere morire, familiari, amici, vicini di casa, un ricordo troppo doloroso, che qualcuno preferisce tenersi dentro. 

Cosa è accaduto - Nel tardo pomeriggio di quella giornata di inizio estate, più precisamente verso le 19, attorno al pozzo maledetto di Villa Petrosa in contrada Ventrischi si inanellò un'incredibile catena di morte che ha coinvolto, parenti, amici, vicini di casa, tutta una comunità di quel piccolo borgo della campagna marsalese. Alcuni contadini della zona calarono un motore a scoppio adibito ad aspirare l’acqua che doveva servire per irrigare i campi. Improvvisamente il motore si bloccò. I contadini decisero a quel punto di scendere in fondo al pozzo per verificare il guasto e conseguentemente ripararlo. Purtroppo la morte era in agguato e a mano a mano che i contadini e e anche le loro mogli scendevano in fondo al pozzo, morivano per asfissia da intossicazione per l'esalazione di gas ed ossido di carbonio. 

I nove morti - Il primo dei nove contadini, Erasmo Bua, che era proprietario del pozzo, scese giù per verificare il guasto e ripararlo. Durante la permanenza dentro al pozzo il contadino cominciò a respirare esalazioni tossiche che lo portarono alla morte. Tutti gli altri si calarono, uno dopo l’altro, nel disperato tentativo di salvare la vita di chi era già sceso. Erano parenti e vicini di casa. Questi i nomi delle altre otto vittime: Filippo Angileri, Michele e Antonina Curatolo, Michele e Maria Licari, Francesco e Antonio Giacalone, Giuseppe Sparla. E rischiarono di morire, intossicate, altre tre persone, tra cui due donne.

Il gesto eroico del ventenne Filippo Angileri - Agli otto soccorritori morti il ministero dell’Interno concesse medaglie d’argento e di bronzo alla memoria al valor civile. Particolarmente eroico l’intervento dell’appena 20enne Filippo Angileri, che avendo compreso il motivo per il quale chi era già sceso aveva perso i sensi, si tolse la camicia, la inzuppò d’acqua e la pose con una mano davanti al naso e alla bocca. Scese anche lui, riuscì a riportare, in spalla, quasi in superficie, uno di quei sventurati che ancora respirava, ma quando era arrivato quasi al “collo” del pozzo, sfinito, è precipitato di nuovo giù con il suo fardello umano, tra le grida di disperazione di chi si accalcava attorno a quel pozzo maledetto.

Salvatore Sciacca, l'uomo che intuì cosa stava accadendo e bloccò la catena di morte - Altre persone sarebbero potute morire, anche loro intossicati. Solo grazie all'intuizione di Salvatore Sciacca, che lavorava in una vicina cava, appena arrivato sul posto al termine della sua giornata di lavoro, ricordando bene cosa era accaduto dieci anni prima nella vicina contrada Pastorella (due morti dentro un pozzo per le esalazioni di ossido di carbonio), capì che ormai non c’era più nulla da fare per chi era giù e chiunque altro sarebbe sceso avrebbe fatto la stessa fine. Per questo motivo, impedì ad altri coraggiosi volontari di scendere in fondo al pozzo. E per fermarli dovette imbracciare un forcone. “Basta! – disse - Non scende più nessuno!”

Terribili analogie con la strage di Casteldaccia - E la tragedia di Ventrischi non può che riportarci alla mente alla strage di Casteldaccia avvenuta il 6 maggio scorso. L'incidente è avvenuto durante lavori di manutenzione della rete fognaria a Casteldaccia. Un "tappo" che ostruiva la sonda dell'autospurgo ha ceduto, causando la fuoriuscita di gas tossici che hanno investito i primi tre operai scesi nella vasca. Per soccorrerli altri tre lavoratori sono scesi nella vasca per soccorrerli. I morti sono stati cinque: Roberto Raneri, Giuseppe Miraglia, Epifanio Alsazia, socio della Quadrifoglio Group, Ignazio Giordano e Giuseppe La Barbera.

Interrogazione parlamentare, le accuse al governo... - All’epoca la vicenda ebbe, naturalmente, una risonanza nazionale. Il deputato marsalese del Pci Pino Pellegrino fece un’interrogazione di fuoco al ministro dell’Interno, chiedendo aiuti per le famiglie delle vittime e interventi (strade, elettrificazione, linee telefoniche, etc.) per un territorio ancora molto povero sotto il profilo delle infrastrutture e non solo. Molto duro il giudizio del parlamentare marsalese sulle colpe del governo, accusato di disparità di trattamento tra nord e sud (una vecchia storia sempre attuale). La Prefettura, poi, distribuì un milione di lire alle famiglie delle vittime. Non fu, quindi, un gran risarcimento. I funerali, in Chiesa Madre, furono a spese del Comune.

Il libro, "Il pozzo assassino di Villa Petrosa" - In occasioe del 50° anniversario della Strage di Ventrischi, questa è stata raccontata in un libro, “Il pozzo assassino di Villapetrosa”, scritto da Filippo Piccione (l’autore de “Il bracciante di Berbero di Marsala” e altri testi), che verrà presentato questa sera, proprio nel 50° anniversario della tragedia, nello spiazzo davanti Villa Petrosa, a poche decine di metri dal pozzo maledetto. L’autore del libro, immaginando che il giovane eroe Filippo Angileri sia sopravvissuto, “instaura un toccante dialogo, analizzando i fatidici momenti di quella giornata e, in un vertiginoso andirivieni temporale, scandaglia la storia d’Italia fino ai giorni nostri”.