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11/11/2022 06:00:00

Caccia a Messina Denaro. L'incredibile storia di Carlo Pulici, stritolato dal potere

 Oggi a Roccamena verrà presentato il libro del giornalista Marco Bova, “Matteo Messina Denaro, latitante di Stato”. Oltre all’autore saranno presenti anche Nicola Morra, ex presidente della commissione antimafia nazionale, Carmine Mancuso dell’associazione Memoria dei Caduti della lotta contro la mafia e l’onorevole Davide Aiello.

Alla presentazione parteciperà anche Carlo Pulici, ex finanziere, braccio destro della pm Teresa Principato durante le indagini per la cattura di Matteo Messina Denaro.

 

Pulici è uno dei personaggi chiave del libro di Bova, assolto in diversi processi, alcuni dei quali insieme all’allora procuratore di Trapani Marcello Viola e all’ex aggiunto di Palermo, Teresa Principato, anche loro assolti. Si è trovato con la vita stravolta. Gli abbiamo fatto qualche domanda.

 

Nonostante le sue piene assoluzioni, ha dovuto sostenere delle ingenti spese processuali, che però non le sono mai state rimborsate dalla Guardia di finanza. E’ così?

 

Esatto. Mi avevano contestato dodici o tredici reati, dall’accesso abusivo ai terminali della procura, alla rilevazione di segreto d’ufficio, al peculato, fino ad avere favorito la latitanza di Matteo Messina Denaro. Tutte vicende per le quali sono stato assolto per non aver commesso il fatto.

Insomma, al posto del latitante, sul banco degli imputati c’eravamo andati a finire noi che gli davamo la caccia.

 

Perché non la rimborsano?

 

Perché mi si eccepisce che non facevo formalmente parte della segreteria della dottoressa Principato. E’ paradossale: quando si tratta di essere indagato per tredici reati, sono vicino alla Principato, per i rimborsi no.

 

In questa strana vicenda, lei viene accusato di aver passato un pen drive con delle informazioni al dottor Marcello Viola. Però poi, dalla procura sparisce un computer. Ce ne può accennare?

 

Il computer scomparso dalla procura era quello mio, personale, dove noi riversavamo tutto ciò che riguardava le indagini su Matteo Messina Denaro, dalle intercettazioni telefoniche agli interrogatori dei collaboratori di giustizia. Era il mio perché avevamo avuto un guasto al computer dell’ufficio e con la dottoressa Principato avevamo deciso di fare un backup settimanale, in modo da averne copia. Un bel giorno mi venne comunicato di non mettere più piede in procura, dopo più di 25 anni di collaborazione, perché sarebbe venuto a mancare il rapporto di fiducia. E questo, per una denuncia per molestie telefoniche ai danni della moglie di un collega. Cosa inesistente, che ovviamente si rivelerà falsa. Sono stato anche accusato di  aver consegnato al dottor Viola una pen drive contenente un interrogatorio, al quale per altro lo stesso Viola aveva presenziato.

E quando, dopo essere stato definitivamente trasferito, sono tornato per prendere le mie cose, non ho trovato più nulla. Il mio ufficio era totalmente svuotato: mancavano le mie chiavi, le pen drive e tutti i miei effetti personali, tra cui appunto il computer. Ho fatto la mia denuncia, che però è stata archiviata con la motivazione che non emergono elementi di reato. Archiviata dalla stessa persona che aveva indagato su di me, sulla dottoressa Principato e sul dottore Viola. Non mi sono arreso e, con l’avvocato Ingroia, ci abbiamo provato a Caltanissetta. Tutto archiviato anche lì, perché io non avrei saputo fornire elementi su chi possa essere stato il responsabile. Ci siamo opposti all’archiviazione, ma non abbiamo mai ottenuto risposta.

 

Ma chi lo accusò di aver passato quelle informazioni su pen drive al dottor Viola?

 

Il mio principale accusatore era il dottor Lo Voi, che oggi fa il procuratore a Roma. Ed il colonnello Mazzotta, che oggi fa il generale a Milano. Non ho mai patteggiato, mi sono fatto i dibattimenti e gli interrogatori, perché sapevo di non aver commesso alcun reato. Anche perché tutti erano a conoscenza della collaborazione che c’era tra me, il dottore Viola e la dottoressa Principato.

 

Una collaborazione che, in quel periodo, si stava centrando sulla massoneria, attraverso le dichiarazioni del collaboratore Tuzzolino…

 

Sì, inutile dire che Tuzzolino era diventato scomodo dal momento in cui si era messo a parlare di magistrati, di funzionari di polizia e di massoneria. Venne bollato come bugiardo patologico e alla fine l’indagine sulla massoneria si fermò.

 

Che cosa le ha insegnato questa sua esperienza?

 

Che viviamo in un Paese in cui, anche facendo bene il proprio dovere, si può finire stritolati da meccanismi di potere che hanno poco a che fare con la giustizia. E anche se si viene assolti, è difficilissimo risalire, dopo essere stati affondati.

 

Egidio Morici



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