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29/01/2023 06:00:00

Strage di Alcamo: armi, uranio e ... foto rubate

 C’è una foto che può trascinare a processo una donna per un reato da ergastolo, concorso in strage. Parafrasando il capolavoro di Gadda, il titolo di questa storia sarebbe “Quel pasticciaccio brutto di via Pigna di don Fabrizio”. Solo che qui non siamo all’Esquilino ma nelle campagne di Alcamo, a cavallo tra le provincie di Trapani e Palermo e il contesto non è quello del Ventennio ma il passaggio drammatico tra la Prima e la Seconda Repubblica, fatto di scandali -veri e falsi- e di morti, reali e spaventosi: la stagione della strategia terroristica della mafia corleonese, quella -per intenderci- che vede Matteo Messina Denaro tra gli organizzatori e mandanti.

In via Pigna, ad Alcamo, nel settembre 1993 viene scoperto un arsenale illegale detenuto da due carabinieri. Una brillante operazione che però nasconde, ancora adesso, un doppiofondo degno di una spy-story. L’arsenale di Alcamo oggi è al centro di un’indagine della Procura di Firenze sulle stragi del ’93 e tra gli indagati c’è una donna: Rosa Belotti. Avrebbe partecipato al commando mafioso che il 27 luglio del 1993 ha fatto esplodere un’autobomba di fronte al museo milanese di arte contemporanea a Milano, un attentato meglio noto come la “strage di via Palestro”. Di origine campana, pregiudicata per affari di droga, la Belotti vive in Lombardia da oltre 30 anni. Il mistero di come finisce invischiata nelle pagine dello stragismo mafioso si trova ad Alcamo, in via Pigna, nell’arsenale detenuto dai carabinieri Vincenzo La Colla e Fabio Bertotto. È qui che viene ritrovata, dice la Procura di Firenze, una sua foto, vale a dire la prova regina che porta al coinvolgimento della Belotti. Ma questo è solo il primo di una lunga serie di tasselli fuori posto.

Non solo nel verbale di sequestro dell’arsenale non c’è alcuna traccia di una foto di una donna bionda ma a complicare tutto c’è la testimonianza di Antonio Federico, il poliziotto che svela l’arsenale. Alla Procura di Trapani nel 1997 Federico rivela che alla scoperta della santabarbara si arrivò grazie alle indicazioni di una fonte: «all’interno del villino, in una libreria, tra le pagine di un volume di un’enciclopedia, avrei trovato una fotografia di una giovane donna bionda che, a suo dire [della fonte], era al corrente di tutti i traffici di cui mi aveva riferito». I traffici a cui si fa riferimento sono di armi e uranio, così dice la “fonte” al poliziotto. Federico quella foto non la mette a verbale ma la tiene per sé, compiendo un reato. «In effetti, allorché si procedette alla perquisizione del garage, approfittai di un momento di distrazione e trovai la fotografia su descritta di cui io mi impossessai senza farne menzione con alcuno». Per quattro anni, fino al 1997, le procure di Palermo e Trapani erano state tenute all’oscuro di quei particolari: l’operazione era stata resa possibile da una fonte che oltre a essere misteriosa era di natura istituzionale. Non solo: Federico sostiene che in quell’arsenale ci sarebbe stato una cassa di materiale fissile, di averlo visto sia in compagnia della fonte che successivamente con un altro collega prima dell’irruzione.

Insomma, nel pieno della stagione delle stragi di Milano, Firenze e Roma, con tutta l’ala corleonese in libertà, ad Alcamo, intorno a quell’arsenale, si è combattuta la classica guerra tra apparati dello Stato. Ma a cosa serviva quell’arsenale, qual era il suo significato? Questo è il secondo tassello fuori posto di una lunga serie. Torniamo al primo, alla foto. Che fine fa? Federico sostiene di averla data a un suo dirigente, poi di averla avuta indietro. Di fronte ai magistrati trapanesi chiude la questione così: “Non ne sono più in possesso”. Aggiungendo che “allorquando i giornali pubblicarono la fotografia di una donna che era stata vista allontanarsi dal luogo dell’attentato di via dei Georgofili a Firenze, ebbi modo di notare la quasi perfetta corrispondenza con le sembianze della donna di cui avevo visto la fotografia”. La “quasi perfetta corrispondenza” non significa che la foto dell’arsenale rimandi alla strage di Firenze, tant’è che la fonte di Federico la lega al traffico d’armi e non alle stragi. Nessun magistrato muove contestazioni e nessuno sembra interessato quando il poliziotto dice di essere in possesso di precise indicazioni di depositi di armi e di materiale fissile.

Undici anni dopo, gennaio 2008, Federico viene di nuovo interrogato, questa volta dalla Dna: consegna la famosa foto della donna bionda -che bionda non è- e altre informazioni sull’ubicazione di depositi di armi ed esplosivo. Nessuno fa presente il fatto che la foto è stata sottratta, non si sa chi è il dirigente che l’ha presa in carico fino a quel momento né che le indicazioni della fonte, “una donna bionda”, vengano smentite dall’immagine recuperata e oggi diventata fonte di prova [che mostra una donna bruna, ndr]. Il poliziotto fornisce ancora una volta precise indicazioni su depositi di armi, esplosivi e materiale fissile situati ad Alcamo, frutto anche delle rivelazioni dell’uomo degli apparati. Anche stavolta nessuno si muove. L’anno dopo, interrogato di nuovo a Trapani, spiega che il misterioso “mister X” gli avrebbe raccontato il movente e altri particolari dell’eccidio di Alcamo Marina: un traffico di armi e uranio. I due verbali resi a Trapani rimangono separati nelle teste degli investigatori. Incredibilmente anche quando il nome di uno dei detentori dell’arsenale, il carabiniere La Colla, viene fuori nel corso di un’intercettazione in relazione all’eccidio del 1976.

Fermiamoci qui. È ammissibile che una delle prove cardine che potrebbero costare un processo per strage a Rosa Belotti, cioè la foto, sia frutto di un reato? Ma soprattutto, se Federico aveva l’indicazione di trovare in quel luogo una foto di una donna bionda “a conoscenza dei traffici” perché quella che finisce nelle mani degli investigatori 17 anni dopo ritrae invece una donna che appare scura di capelli? Una doppia discrasia che potrebbe inficiare in radice l’intero impianto dell’indagine. Sembra un gioco delle tre carte. Le indagini sbattono su una ragazza alcamese, Antonella Bonomo, fidanzata con il boss di Castellammare, Vincenzo Milazzo. Pochi giorni prima della strage di via D’Amelio, la ragazza viene strangolata insieme al suo compagno, entrambi finiranno seppelliti in una cava. È lei la donna della foto? C’entra qualcosa con il fatto che Milazzo si era opposto alla strategia delle bombe e che un parente della ragazza fosse un alto dirigente del Sisde? I mandanti -la Cupola di Riina e Provenzano– sospettavano che apparati dello Stato avessero ricevuto qualche soffiata? Dicono i collaboratori di giustizia che a soffocare i due amanti fu proprio Messina Denaro, il boss di Castelvetrano.


Non è la Bonomo la misteriosa donna della foto, nonostante l’evidente somiglianza. Coinvolgere un alto dirigente del Sisde potrebbe essere un chiaro messaggio che riguarda proprio Mister X che ad Alcamo era ben conosciuto così come il parente della Bonomo. L’ultimo incredibile tassello: nel 2021 Rosa Belotti si riconosce nella foto recuperata nel 1993 e non si spiega come sia potuta finire lì, in via Pigna ad Alcamo nell’arsenale dei misteri. La commissione Antimafia ha interrogato per oltre 40 ore Federico: nuovi clamorosi particolari sono emersi a partire dall’inerzia e dalle anomalie che hanno caratterizzato le indagini sull’eccidio di Alcamo Marina (indagini mai fatte e manipolazione di intercettazioni) e sull’arsenale del 1993 ma anche sulla fonte di Federico, sulla foto e sull’esplosivo scomparso. Anomalie che investono anche i verbali resi ai magistrati e le indagini mai compiute su altri arsenali. Federico aggiunge un particolare: “io feci vedere la foto ad un mio dirigente, seguendo le istruzioni della mia fonte che mi disse di mostrare la foto ai miei colleghi presenti”.


Ciò significa che la donna a conoscenza dei traffici di armi e materiale fissile doveva per forza gravitare nel trapanese, sia per il ruolo che avrebbe ricoperto sia perché i funzionari di polizia l’avrebbero riconosciuta come appartenente ad un corpo di polizia o apparato di sicurezza. La domanda è d’obbligo: la foto rinvenuta ad Alcamo che rischia di costare a una donna un processo per strage è la stessa di quella finita oggi nel fascicolo della Procura di Firenze? Si conferma un dato: come nel caso di Alcamo Marina anche per l’arsenale del ‘93 si è in presenza di una serie impressionante di anomalie investigative. La voragine aperta la notte del 27 gennaio 1976 con l’eccidio di Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta inghiotte i segreti dell’arsenale del 1993 e delle stragi di mafia ma tocca pesantemente altri due delitti, quello di Peppino Impastato e Mauro Rostagno. Dei segreti delle stragi sarà pure a conoscenza Messina Denaro ma di certo molti, troppi misteri risiedono anche nelle inchieste svolte.

Nicola Biondo, Il riformista 

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