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18/08/2023 06:00:00

Matteo Messina Denaro, narcisista e antisociale, non sarà ricordato come vuole lui

 Ci tiene alla sua immagine Matteo Messina Denaro. E’ come se le cose che ha detto nell’interrogatorio del febbraio scorso, gli potessero servire in qualche modo ad aggiustare il tiro rispetto ai reati di cui è accusato (o per cui è stato già condannato). A tratti però i risultati di questa rozza operazione sembrano rasentare il ridicolo, se non addirittura superarlo. Al procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e all’aggiunto Paolo Guido, l’ex latitante castelvetranese dice di sentirsi un uomo d’onore, ma non nel senso mafioso del termine. Poi afferma di conoscere Cosa nostra solo dai giornali e di non averci mai avuto a che fare. Anzi, magari sì, ci avrà fatto pure qualche affare, ma senza sapere che si trattasse di cosa nostra. Insomma, un boss a sua insaputa.

E quando De Lucia gli chiede se avesse commesso dei reati, lui risponde categorico: “No, di quelli che mi accusano, no”.

…Quindi stragi, omicidi, lei non c’entra niente?”.

No – dice lui - nella maniera più assoluta. Poi mi possono accusare di qualsiasi cosa, io che ci posso fare alla fin fine, no?”.

Non faceva nemmeno traffico di stupefacenti, dice che non ne aveva bisogno perché era di famiglia benestante.

Estorsioni? “No, non ne faccio di queste cose”.

 

E Bernardo Provenzano? L’ha conosciuto dalla TV. E quando De Lucia gli chiede perché gli scrivesse, risponde così: “Perché quando si fa un certo tipo di vita poi arrivato ad un dato momento ci dobbiamo incontrare, perché io latitante accusato di mafia, lui latitante accusato di mafia, dove si va?”. Un po’ come i gruppi Whatsapp delle mamme, solo che i membri erano latitanti e al posto dell’elettronico usavano i pizzini.

Ma come ha fatto a rivolgersi a Provenzano?

Perché sono un latitante e lui era pure latitante e quindi i canali li conosciamo, non c’è bisogno di essere affiliato… Se io cerco una persona normale mi viene difficile, ma se cerco un latitante come me ci troviamo”.

Chissà se un giorno queste condivisioni tra latitanti avranno un’evoluzione. Chissà se, come gli alcolisti anonimi, si incontreranno in cerchio e parleranno delle proprie esperienze persecutorie, “Ciao, sono Salvatore e oggi compio il 15esimo anno di latitanza”.

 

Ma la risposta più curiosa Messina Denaro la dà sul tentato omicidio di Calogero Germanà, nel settembre del 1992, quando a bordo di un’auto con Giuseppe Graviano e Leoluca Bagarella iniziarono a sparare contro l’allora commissario di polizia di Mazara del Vallo. In quell’occasione Germanà riuscì a salvarsi, rispondendo al fuoco e scappando verso il mare.

De Lucia chiede all’ex boss se fosse stato sull’auto di quelli che hanno sparato. E lui: “No, non ero nemmeno… ero a Mazara io”.

Poi cerca di uscire vincente anche dalla vicenda Vaccarino, raccontando di aver capito almeno due mesi prima dell’arresto di Provenzano, che l’ex sindaco di Castelvetrano era d’accordo con i Ros e che quello scambio di pizzini avuto con lui era finalizzato alla propria cattura. Se non avessero arrestato Provenzano, dice che lui avrebbe continuato lo scambio, fornendo notizie false sui suoi spostamenti. Ci sarebbe da chiedersi perché esporre i suoi pizzinari al pericolo di essere arrestati. Per un vezzo? Non si sa.

 

Ma l’ex latitante non sembra nemmeno lì per rispondere a delle domande. Vuole parlare lui. Anche di argomenti che nemmeno riguardano le sue imputazioni. Addirittura vuole chiarire che quella volta, bloccato in auto a causa del traffico per la commemorazione del 23 maggio, non voleva affatto offendere Falcone, ma ce l’aveva “con quella metodologia di commemorazione. Allora, se invece del Giudice Falcone fosse stato Garibaldi, la mia reazione sempre quella sarebbe stata, perché non si possono permettere di bloccare un’autostrada per decine di chilometri. Così vi fate odiare pure dalla gente”.

 

Che mafioso viene fuori da questo interrogatorio, che giustamente De Lucia definisce “non utile”?

Davvero si tratta di contenuti che potrebbero contribuire a costruire l’immagine di un mito? Forse. Soprattutto se non si conosce la sua storia, fatta di omicidi. Decine, se non centinaia: da mandante, da esecutore o da spalla ad altri killer, eliminando nemici di Cosa nostra o affiliati infedeli. Un cimitero, del quale ci siamo occupati in un approfondimento in tre puntate che trovate QUI, QUI e QUI.

Si potrebbe pensare a Matteo Messina Denaro come ad uno dei migliori capi (locali, ricordiamo sempre che non è mai stato a capo della cupola siciliana) di Cosa nostra, se non fosse per le parole di Totò Riina che nel 2014, durante l’ora d’aria diceva al suo interlocutore Lorusso: “A me dispiace dirlo… questo… questo signor Messina (Matteo Messina Denaro ndr) questo che fa il latitante che fa questi pali eolici, i pali della luce, se la potrebbe mettere nel culo la luce ci farebbe più figura. Se la mettesse nel culo la luce e se lo illuminasse, ma per dire che questo si sente di comandare, si sente di fare luce dovunque, fa luce, fa pali per prendere soldi ma non si interessa…”.

Perfino tra quelli sospettati di appartenere alla mafia trapanese, qualcuno intercettato  nell’agosto del 2015, diceva: “Ma anche questo che minchia fa? Cioè, arrestano i tuoi fratelli, le tue sorelle, i tuoi cognati e tu non ti muovi? Ma fai bordello!”.

Anche dentro Cosa nostra, dunque, il gradimento non è che fosse stato altissimo.

 

E oggi ci troviamo davanti ad un tizio malato di cancro, con evidenti tratti narcisistici ed antisociali di personalità. Una storia doppia, di trasformismo in base al contesto: crudele e spietato nella sua vita da mafioso; affabile, gentile, perfino sensibile in ambiti diversi, quando l’altro è soltanto un mezzo per raggiungere i suoi scopi. Tra questi, chissà, nell’ultimo periodo ci sarà stata anche quella voglia di normalità e di vicinanza degli altri che si fa insistente nei momenti di difficoltà causati dai grandi cambiamenti.

Sa bene, Matteo Messina Denaro, di essere arrivato al capolinea.

Ma se nelle lettere a Svetonio (questo il nome in codice che aveva dato all’ex sindaco di Castelvetrano, Vaccarino) diceva che ci sono ancora pagine della sua storia che si devono scrivere, forse gli sfugge che della sua storia potrebbe non importare niente a nessuno. E che dopo un po’ di tempo potrebbe rimanere soltanto qualche serie tv di terz’ordine. A meno che non dica chi ha coperto la sua latitanza e soprattutto con chi ha fatto affari per 30 anni, con quali politici, imprenditori, pezzi delle istituzioni, della massoneria deviata… Diversamente non si capisce perché dovrebbe essere ricordato. Perché amava le belle donne, le auto sportive, gli orologi e i bei vestiti? Ecco, al massimo un idolo trash, quello sì.

 

Sempre nelle lettere a Svetonio aveva anche scritto: “Non saranno questi ‘buoni’ e ‘integerrimi della nostra epoca, in preda a fanatismo messianico, che riusciranno a fermare le idee di un uomo come me”.

L’unica lettura sensata di queste solenni affermazioni, non può che essere psichiatrica. A meno di pensare che uno che ha passato metà della sua vita tra stragi e omicidi, e l’altra metà in latitanza, abbia davvero delle idee da offrire per migliorare questo mondo.

 

Egidio Morici