Caro direttore,
le appassionate lettere di Dalila Quinci e di Antonella Lusseri su Marisa Leo, la giovane donna uccisa dall’ex compagno che aveva denunciato per stalking, oltre che rinnovare la mia commozione, ha anche accentuato un moto di rabbia, di sconcerto e di impotenza che monta ogni volta che mi trovo davanti a spaventosi analoghi episodi.
Il fatto che ogni tre giorni una donna viene massacrata per mano dell’uomo non dipende soltanto da una forma ancestrale di misoginia, dalla mancata parità di genere, dalla persistente e dominante sistema patriarcale, ma anche e soprattutto dalla mentalità, dura a morire, presente in maniera preoccupante nel nostro Paese. Dal come ancora viene concepito e considerato il rapporto uomo donna, nonostante 75 cinque anni fa fosse entrata in vigore la Costituzione che prevede, all’articolo 3, che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Ho voluto citare la Costituzione come riferimento essenziale degli operatori della giustizia, in primis della magistratura, che è uno dei tre poteri di uno Stato di diritto come previsto dal nostro ordinamento democratico. Eppure mentre si contano quotidianamente atti di violenza e di aggressione nei confronti delle donne, capita anche questo:
1) Il pm di Brescia chiede l’assoluzione dell’uomo che aveva maltrattato sua moglie, una giovane originaria del Bangladesh, che lo aveva denunciato perché era stata umiliata fisicamente e psicologicamente facendola vivere segregata, “come una schiava”. La motivazione è la seguente: “Contegni di comprensione delle libertà morali e materiali sono il frutto dell’impianto culturale e non della coscienza e della volontà di annichilire e svilire la coniuge”. “La disparità tra l’uomo e la donna è un portato della cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine”.
2) Il Tribunale di Firenze ha ritenuto giusto che due giovani, che avevano stuprato una ragazza, non siano “ punibili perché avrebbero agito condizionati da una visione pornografica delle loro relazioni con il genere femminile, forse derivati da un “deficit educativo”. L’ “immaginario pornografico”, anziché essere un’aggravante, si trasforma in una circostanza attenuante. Il Tribunale se la cava in modo tanto sbrigativo quanto scandalosamente disarmate di fronte alla commissione di un crimine turpe come lo stupro di cui sono piene le cronache.
Si ha l’impressione che i suddetti provvedimenti giudiziari tenessero più conto delle espressioni e dei comportamenti derisori e offensivi nei confronti della donna, sulla quale viene attribuita quasi sempre l’origine della provocazione della violenza sessuale. Quando si tratta di decisioni giudiziarie la questione di cui ci occupiamo quasi sempre implica ricadute sia sulla persona vittima di minacce e di prepotenze sia, in generale, sull’opinione pubblica.
In un quadro di incertezze e di diffuso disorientamento, che oltretutto provocano malessere e turbamento fra le varie generazioni, le posizioni assunte da alcuni esponenti più in vista della società – in particolare quella parte che conta e che riveste funzioni e incarichi rilevanti e di ampia e diffusa visibilità, devono destare qualche preoccupazione per l’attenzione benevola e fanatica che riescono ad attirare anche fra politici e opinionisti di rango. Penso alle tesi strambe di tipo maschilista - sessista – razzista sostenute dal generale Vannacci, alle parole in libertà del conduttore Giambruno, il compagno della Meloni, alle uscite infelici e omofobe di Morgan durante un concerto. Questi personaggi, con la scusa del politicamente scorretto, stanno, in un modo o in un altro, approfittando dell’aria favorevole che tira e tentano di sdoganare teorie aberranti ed esagitate che avvelenano sempre più il discorso pubblico e, di conseguenza, la convivenza civile e sociale impedendo così la possibilità di affermare i diritti e le libertà proclamati dalla nostra Costituzione.
Filippo Piccione