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19/11/2023 06:00:00

Emozioni, rabbia, delusioni di un giornalista che raccontato la storia d'Italia

 A Palazzo Merulana per due chiacchiere con Attilio Bolzoni, ieri mattina a Roma. Affettuoso come sempre, la gioia negli occhi per questo libro appena uscito_Controvento per Zolfo editore_ altre volte ci siamo incontrati lì.

La caffetteria del Museo, attorno a noi sculture in bronzo, sopra il banco del bar una video-installazione con due occhi che non puoi non guardare. Attilio parla racconta, lui è La Repubblica per me, ragazzino io che entrava al ginnasio e grazie ai miei professori educato alla passione e voglia dei quotidiani con le dita sporche alla fine dello sfoglio.

Un caffè, lui altro, e le chiacchiere sono sghembe ma con pezzi di vita in mezzo ("Quale il tuo primo articolo per Scalfari, Attilio?" "Luglio 1979, l’omicidio di Boris Giuliano") e oggi con aneddoti e curiosità.

Affacciarsi al mondo dei grandi e iniziare a leggere i giornali con i compagni del liceo e La Repubblica era la novità: il formato tabloid (chi lo aveva mai visto?) la foliazione, non c’era lo sport e non usciva il lunedì e di lì a poco Attilio Bolzoni iniziava a firmare pezzi che hanno raccontato la nostra storia italiana.

Chiedo se avesse conosciuto Enrico Filippini (colonna della terza pagina diretta da Rosellina Balbi), altro personaggio controvento e profondo conoscitore della letteratura tedesca, uomo semplice e curioso della vita; prende il libro e inizia con l’incipit di un capitolo del libro

Eravamo tutti appollaiati sulle cassettiere dell’ufficio centrale, incastrati uno all’altro come sugli spalti di un’arena che poi era il lunghissimo tavolo dove intorno c’erano Sandro Viola e Miriam Mafai, c’era Giampaolo Pansa, c’erano Alberto Jacoviello e Mario Pirani, c’era Nello Ajello, c’era Bernardo Valli, c’era Rosellina Balbi, c’erano Enzo Forcella e Antonio Gambino. Ogni tanto calava da Milano anche Giorgio Bocca.

Ha letto di un fiato, ho sentito tra le parole l’emozione di un giovane redattore al cospetto di giganti del mestiere: quinta scenica di questa lettura alcune sculture in bronzo di Antonietta Raphaël - mamma di Miriam Mafai sua collega - artista della scuola romana, cose belle che il caso riserva sempre.

Gli occhi dell’installazione continuano a suggerire curiosità, il sole scalda una mattina insolitamente fredda ma la luce è bellissima e lui si perde dietro una telefonata ad un Gabriel Garcia Marquez già ammalato - per un imminente viaggio che farà in Messico per incontrarlo. Racconterà il funerale, Attilio atterra a Città del Messico e il Gabo muore di lì a poco.

Garcia Marquez la sua scrittura che fa sognare, i suoi mondi la sua Macondo, quel sud America letterario che ha formato molti, divisi tra chi è cresciuto con i Russi e chi con i Sudamericani.

Chi è cresciuto col Corriere della Sera e chi con gli irregolari de La Repubblica - che da fallimento annunciato poco dopo la nascita divenne il primo giornale italiano e creò una comunità e lui Bolzoni benché giovanissimo, osservava questo mondo di Piazza Indipendenza a Roma, dal suo osservatorio siciliano.

Col giusto e sano coinvolto distacco.

Scrivo righe sull’onda di una emozione forte, perché sono cresciuto in un tempo storico dove le Brigate Rosse dove i NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari) dove Ordine Nuovo contrassegnavano il quotidiano di noi adolescenti e dove ogni tanto leggevano una corrispondenza dalla Sicilia e non era mai una bella nuova.

La firma Bolzoni-D’Avanzo poi per un certo tempo divenne certificato di cronache contromano in quella Sicilia impermeabile, e di quelle ci nutrivamo e con quegli articoli siamo cresciuti noi di quella generazione.

Lo ringrazio per la sua visione sincera e per quanto fa ancora con il Domani: del libro da qualche parte leggerete recensioni, io non ne sono capace e temo quel mare: compratelo e troverete il giornalista e non lo scrittore.

Voi Prof leggetelo in classe a questa generazione tra i banchi, perché non è solo giornalismo è passione è voglia di scrivere e raccontare, e chiudo con poche righe di Umberto Eco - nell’introduzione che scrisse al libro La verità del gatto di Enrico Filippini (einaudi editore 1990) - che trovo aderenti al nostro:

per lui la scrittura era il momento della sincerità globale, dato che si trattava di mettere in gioco tutto se stesso e, con se stesso, il fatto di come per lui fosse difficile scrivere, trascinato e dibattuto come lui era tra modelli, opzioni, possibilità diverse.

Le diverse possibilità credo non le abbia mai prese in considerazione, e le circa seicento pagine di questo bellissimo libro, ci regalano emozioni rabbia delusioni forse addolcite dalla sincerità e dal tempo.

Forse.

giuseppe prode



Native | 2024-04-25 09:00:00
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