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13/03/2025 06:00:00

L'onore che uccide: storie di un passato che ancora ci riguarda

"Oggi siamo qui per parlare di un tema che purtroppo attraversa la storia come una ferita mai rimarginata:la violenza di genere. Un crimine che affonda le sue radici in secoli di cultura patriarcale e che, ancora oggi, continua a mietere vittime" ha detto Giacoma Castiglione, Presidente del Comitato Pari Opportunità e Consigliera del COA di Trapani, aprendo il convegno. "L'evoluzione del fenomeno della violenza di genere nel circondario del Tribunale di Trapani"

Le parole pronunciate davanti a una platea attenta risuonano con forza perché il delitto d'onore non è un tema relegato ai libri di storia ma una realtà che ha lasciato cicatrici profonde nel tessuto sociale e giudiziario della nostra società. Per capire il presente, bisogna guardare al passato alle sentenze che per secoli hanno considerato la donna come un possesso dell’uomo piuttosto che un individuo con pieni diritti.

Nell'Ottocento, l’omicidio di una donna per mano di un marito, un padre o un fratello era spesso giustificato come un gesto dettato dall'onore offeso. Si trattava di un principio radicato nelle leggi e nella cultura del tempo: il valore dell'onore maschile era superiore alla vita di una donna. Le sentenze riflettevano questa mentalità rendendo la giustizia complice del carnefice. Le punizioni per gli uomini che uccidevano le proprie mogli o figlie erano miti, spesso ridotte a pochi anni di lavori forzati o addirittura assoluzioni. La donna non era altro che un riflesso dell’uomo, il suo comportamento non le apparteneva ma era un'estensione della reputazione della famiglia e del marito.

Nel corso del suo intervento, Castiglione ha citato diversi casi giudiziari risalenti alla metà del XIX secolo e al primo quarantennio del XX secolo, resi accessibili grazie alla collaborazione con l'Archivio di Stato di Trapani e il lavoro di ricerca condotto da Vincenza Pipitone, Arianna Di Miceli, Valentina Rallo e Vito Cipolla. I documenti di queste storie sono esposti al tribunale, testimonianze tangibili di un passato che non deve essere dimenticato. Ecco alcuni casi tra i più significativi.

Giuseppe Scuderi e Rocca Cosentino (1843): l'ombra della gelosia

Nella notte del 24 aprile 1843, Giuseppe Scuderi, un panettiere di 36 anni, uccise la moglie Rocca Cosentino. Il movente? La gelosia ossessiva, alimentata dai "continui risentimenti gelosi" della donna per i continui adulteri dell'uomo. La sentenza, però, non condannò la gelosia morbosa di Scuderi, ma la "condotta adultera" della moglie, quasi a giustificare l'omicidio.

"La vittima stessa era considerata colpevole", ha commentato Giacoma Castiglione, "un'idea radicata nella mentalità dell'epoca". Scuderi fu condannato a morte e ghigliottinato il 17 ottobre dello stesso anno, ma la sua pena fu in qualche modo attenuata dalla presunta colpevolezza della vittima. "Un'ingiustizia che grida vendetta ancora oggi", afferma Castiglione

2. Anna Di Bella (1856): l'impunità della violenza

Anna Di Bella, una giovane donna, fu uccisa nel 1856 dal compagno Pietro Biondo, un uomo che l'aveva prima sedotta e poi maltrattata per anni. La madre di Anna denunciò immediatamente Biondo, e il Giudice Regio ordinò la riesumazione del corpo, che mostrava evidenti segni di violenza. Anna era incinta, e la sua morte fu particolarmente brutale.

"Fu brutalmente picchiata e lasciata morire", ha raccontato Castiglione, "un femminicidio che all'epoca venne quasi ignorato dalle autorità". Nonostante le prove, nessuna condanna fu mai emessa, e Biondo si risposò pochi anni dopo. "Un'impunità che fa rabbia", ha commentato Castiglione, "un esempio di come la violenza contro le donne fosse tollerata e persino giustificata".

3. Maria Palermo (1880): l'avidità omicida

Maria Palermo fu uccisa dal marito Biagio Rizzuto a Salemi nel 1880. Dopo anni di matrimonio e investimenti condivisi, l'uomo temeva di perdere parte della proprietà e decise di eliminarla a colpi di zappa. "Un omicidio brutale", ha commentato Castiglione, "un esempio di come la violenza potesse essere scatenata anche da motivi economici".

Dopo l’omicidio l’uomo pulì il corpo della moglie e in pieno stato confusionale uscì con il suo asino per recarsi in campagna dove lo attendeva il nipote. Anche in questo caso, la giustizia dell’epoca dimostrò una clamorosa indulgenza nei confronti dell’assassino. "La vita di una donna valeva meno di un pezzo di terra - ha aggiunto Castiglione - un'ingiustizia che ci ricorda quanto siamo stati lontani dall'uguaglianza".

Delitto d'onore: l'articolo 587 e l'offesa all'onore fammiliare

Fu solo nel 1930, con il Codice Rocco, che il delitto d’onore venne formalmente regolamentato in modo più chiaro, ma sempre con pene ridotte per chi uccideva la moglie colta in adulterio.
Venne introdotto l’art.587 intitolato Omicidio e lesione personale a causa di onore”. Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni.

La stessa pena viene inflitta a chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona, che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.

Non necessariamente l’autore materiale dell’omicidio o comunque di qualsiasi altro reato violento era il marito: spesso si trattava anche del padre, di un fratello o altro membro, della famiglia. La motivazione che induceva l’autore di tale delitto era quella di salvaguardare la reputazione della famiglia il tradimento della donna costituiva offesa all'onore: ovvero in una società maschilista da un lato minava la saldezza dell’istituto familiare (colpendo la dignità del capofamiglia), dall’altro depotenziava la virilità dell’uomo (infliggendo il ludibrio pubblico della corna). e, per questa ragione, era prevista una pena più mite.

La vera svolta arrivò solo nella seconda metà del Novecento, grazie alle battaglie dei movimenti femministi e delle donne che, con coraggio, iniziarono a denunciare. Il delitto d’onore fu abolito solo nel 1981, un dato che fa riflettere su quanto la cultura patriarcale sia stata radicata anche nelle leggi moderne.

Ed è in questo contesto che viene raccontata la storia di Ninetta Stabile di Paceco, raccontata con i documenti e vociritrovati all'archivio, dal minuto 38.

 



Cronaca | 2025-03-27 07:07:00
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