Oggi, 7 maggio 2025, è il giorno della sentenza al processo ad Alfonso Tumbarello, l’ex medico di base di Campobello di Mazara finito a processo con l'accusa di aver curato Matteo Messina Denaro sotto falsa identità. Il Tribunale di Marsala, presieduto da Vito Marcello Saladino, è pronto a emettere la sentenza in un procedimento che ha attirato l’attenzione nazionale, non solo per il profilo dell'imputato, ma per ciò che rappresenta: la zona grigia tra complicità e inconsapevolezza nella rete che ha garantito la latitanza del boss.
La Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo ha chiesto una condanna a 18 anni di carcere, ritenendo Tumbarello pienamente consapevole del ruolo che stava svolgendo: certificati medici e oltre 130 ricette redatte a nome di “Andrea Bonafede” – una falsa identità usata da Messina Denaro – che gli avrebbero permesso di curarsi senza destare sospetti.
Chi è Alfonso Tumbarello: il medico dei “due Bonafede”
Alfonso Tumbarello era un medico di famiglia di Campobello di Mazara, cuore della rete logistica e sociale che ha protetto Messina Denaro durante i suoi ultimi anni di latitanza. Il punto centrale dell’accusa riguarda la sistematica prescrizione di terapie oncologiche e cure specialistiche intestate a Bonafede Andrea – amico d’infanzia e complice del boss – ma in realtà utilizzate dal superlatitante Matteo Messina Denaro, arrestato nel gennaio 2023 e deceduto a L’Aquila nel settembre dello stesso anno. Le indagini hanno svelato che il vero Bonafede avrebbe ceduto la propria identità al boss, mentre le ricette venivano spesso ritirate in farmacia da lui stesso o da altri soggetti vicini alla rete mafiosa. Per gli inquirenti, Tumbarello non poteva non sapere.
La ricostruzione dei fatti: oltre 130 ricette per il boss
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, tra il 2020 e il 2022, il dottor Tumbarello ha prescritto oltre 130 ricette, tra cure oncologiche ed esami diagnostici a nome di Andrea Bonafede, classe 1963. Ma quel Bonafede non era il vero assistito: era Matteo Messina Denaro, allora latitante e già gravemente malato. Le ricette – molte delle quali ritirate in farmacia da Bonafede stesso o da altri soggetti vicini al boss – erano solo una parte di un quadro più ampio: secondo l’accusa, Tumbarello sarebbe stato un tassello fondamentale nella rete di supporto che ha permesso a Messina Denaro di ricevere cure di alto livello, anche durante l’emergenza sanitaria causata dal Covid-19. Lo stesso pubblico ministero, Gianluca De Leo, ha sottolineato in aula l’anomalia della velocità con cui il boss riuscì a essere curato: “In soli tre giorni – ha detto – aveva già una diagnosi e un appuntamento dal chirurgo, mentre il sistema sanitario era in ginocchio”.
La difesa: “Era convinto di curare il vero Bonafede”
La difesa del medico, affidata agli avvocati Gioacchino Sbacchi e Giuseppe Pantaleo, ha invece contestato ogni addebito. Per i legali, Tumbarello non conosceva la vera identità del paziente e agì in totale buona fede. "È stato ingannato dai due Andrea Bonafede – ha sostenuto Sbacchi durante l’arringa –. Tumbarello non aveva rapporti personali con loro, né vantaggi economici. Era convinto di fare il suo dovere". Pantaleo ha sottolineato che il medico non ha mai cancellato messaggi o contatti dal proprio telefono, anche dopo l’arresto del boss: “Chi è colpevole si preoccupa di nascondere le prove. Lui non ha toccato una virgola. Ha conservato tutto, anche vecchissimi messaggi”. Inoltre, i legali hanno fatto notare come anche altri medici e strutture sanitarie – tra cui la clinica La Maddalena di Palermo – abbiano curato “Bonafede” senza accorgersi della vera identità. “Non c’è alcuna prova concreta di una sua volontà di favorire la mafia – ha ribadito Pantaleo –. Solo ipotesi e suggestioni”.

Un paese che ha protetto il boss
Il caso Tumbarello si inserisce in un contesto più ampio: Campobello di Mazara, negli ultimi anni, è emerso come epicentro della rete logistica che ha permesso a Messina Denaro di vivere indisturbato. Il boss aveva affittato una casa nel paese già nel 2007 e lì ha trascorso gran parte della sua latitanza, protetto da un muro di silenzio. “Messina Denaro non era un corpo estraneo al territorio – ha detto il pm De Leo –. Nessuno si è mai fatto avanti per dire di aver visto qualcosa. Questo è il vero dramma”.
Tra silenzi, omissioni e zone grigie
La vicenda di Alfonso Tumbarello pone una domanda che va oltre il processo penale: dove finisce la buona fede di un medico e dove inizia la responsabilità morale o giuridica? Tumbarello è stato arrestato dopo il blitz del gennaio 2023 che portò alla cattura del boss in una clinica palermitana. Le indagini hanno poi ricostruito l'intero sistema di protezione, dove l'identità di Andrea Bonafede veniva usata non solo per cure mediche, ma anche per aprire conti bancari, acquistare automobili e immobili.
La decisione dei giudici
La sentenza attesa per oggi stabilirà se Tumbarello sia stato complice consapevole oppure vittima inconsapevole di una delle più sofisticate trame della latitanza di Matteo Messina Denaro. La procura ha chiesto 18 anni di carcere, ma la difesa punta all'assoluzione: “Per non aver commesso il fatto” (per il concorso in associazione mafiosa) e “perché il fatto non costituisce reato” (per il falso in atti pubblici).