Inizia oggi davanti al Tribunale di Trapani il processo scaturito dall’operazione antimafia “Eirene”, che lo scorso settembre ha portato in carcere 13 persone, tra cui l’ex senatore del Partito Democratico Nino Papania e l’ex vicesindaco di Alcamo Pasquale Perricone. Entrambi sono accusati di voto di scambio politico-mafioso, in un’inchiesta che ha svelato nuovi legami tra politica e clan nella provincia di Trapani, da Alcamo a Calatafimi, passando per Segesta e fino al capoluogo.
L’accusa: accordi elettorali con la mafia alcamese
Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia, durante la campagna per le elezioni regionali del 2022, Papania avrebbe stretto accordi con esponenti della famiglia mafiosa di Alcamo, attraverso l’intermediazione di Perricone, in cambio di voti. In particolare, avrebbe chiesto il sostegno del clan per promuovere Angelo Rocca, suo collaboratore e indagato in un’altra inchiesta per truffa nella formazione.
Il nome di Giosuè Di Gregorio, indicato come uno dei capi della cosca, ricorre più volte nelle carte: sarebbe stato lui, tra l’estate e l’autunno del 2022, a gestire gli incontri tra Papania, Perricone e il mondo mafioso. Gli investigatori parlano di “accordi elettorali inquinati” con l’appoggio di “membri influenti dell’associazione mafiosa”.
Gli altri imputati
Alla sbarra, insieme a Papania e Perricone, anche Francesco Coppola, ritenuto il nuovo capomafia alcamese. In tutto sono undici gli imputati accusati a vario titolo di mafia, estorsioni, traffico di droga e voto di scambio. Figurano anche i nomi di:
Molti sono accusati di aver avuto un ruolo attivo nel “controllo del territorio” per favorire candidati graditi alla mafia.
La difesa e lo stato di salute
Papania e Perricone sono detenuti dal settembre scorso nel carcere Pagliarelli di Palermo. I loro legali – tra cui gli avvocati Sara Lauria e Vito Di Grazia – hanno chiesto invano la scarcerazione per motivi di salute, soprattutto per l’ex senatore, già più volte ricoverato.
Il dibattimento si preannuncia lungo e complesso: al centro ci sono anni di relazioni incrociate tra affari, politica e criminalità organizzata, in un territorio dove, ancora una volta, l’ombra di Cosa nostra si proietta sulla gestione del consenso elettorale.