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16/05/2025 00:00:00

"La guerra e i bimbi di Gaza. Non possiamo dire di non sapere, non restiamo immobili"

 Mi chiamo Alessia. Sono una madre, come tante. Ho un figlio che si chiama Enea e come ogni bambino, ha diritto alla vita, al gioco, alla quiete del sonno, ad una casa.
Da questa terra di sole e di accoglienza, dove i bambini crescono col profumo del mare e l’amore della famiglia, non riesco a concepire che da qualche parte nel mondo, oggi, adesso, ci siano piccoli esseri umani che muoiono di fame, di sete, di guerra.

Nel cuore della notte, mentre mio figlio dorme accanto a me sento le urla di bambini che non conosco, ma che riconosco come miei.
Sono i figli di Gaza, i figli di un popolo sotto assedio, ridotto alla fame, all’isolamento, alla morte. Bambini che muoiono non per caso, ma per scelta. Perché quando il mondo intero vede e tace non è più una tragedia: è un crimine.
Scrivo questa lettera a tutti. Alla mia vicina di casa. Alla mamma del compagnetto di Enea. Al meccanico sotto casa. A chi insegna, a chi cura, a chi lavora, a chi governa. A chi prega, a chi scrive, a chi parla da un pulpito o da uno schermo.

A ciascuno di voi dico: non possiamo più dire di non sapere. Da mesi assistiamo allo sterminio sistematico di una popolazione civile. Ospedali distrutti. Campi profughi colpiti. Acqua negata. Bambini amputati senza anestesia. Corpi disseppelliti a mani nude. Mamme che scavano tra le macerie coi pugni.
Un’intera generazione annientata con l’assenso passivo dell’Occidente. Io non sono un’esperta di geopolitica. Ma non serve una laurea per riconoscere l’orrore.
Non serve un trattato per sapere che ciò che sta accadendo è moralmente, giuridicamente, storicamente inaccettabile. Questo è genocidio. E noi lo stiamo lasciando accadere.

Per questo, oggi, non voglio solo piangere guardando reels di bambini, uomini e donne che muoiono. Voglio gridare. Voglio che ogni persona si senta chiamata in causa. Non possiamo delegare il nostro senso di giustizia ai comunicati stampa delle cancellerie.

Non possiamo aspettare che la storia ci assolva: la storia ci sta guardando adesso. Chiedo a ogni madre, padre, insegnante, artigiano, artista, credente,
professionista, cittadino: alzate la voce.
Sostenete, condividete, mobilitatevi. Non abbiate paura del dissenso, abbiate paura dell’indifferenza. Pretendete il cessate il fuoco. Pretendete la fine dell’assedio. Pretendete corridoi umanitari.
Pretendete che l’umanità conti più della propaganda.

E chiedo a chi ha potere reale — politici, rappresentanti religiosi, amministratori pubblici, intellettuali, media — di agire. Ora. Non per strategia, non per calcolo. Ma per decenza. Per civiltà. Per umanità. Io non ho altro che la mia voce. Ma la userò fino in fondo. Perché non voglio che mio figlio cresca in un mondo che ha accettato
lo sterminio come rumore di fondo. E non voglio un giorno guardarlo negli occhi e dirgli: “Sapevo, ma ho taciuto”.

Se questa lettera ti parla, fai qualcosa.
Condividila. Stampala. Scrivine una tua.
Organizza un incontro, una raccolta firme, una veglia, un gesto qualsiasi. Ma non restare immobile. Perché ogni gesto è una crepa nel muro dell’orrore.
 

Con rabbia, con dolore, con amore, Alessia

Madre, cittadina, essere umano



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