Fanghi di dragaggio non trattati, impianti utilizzati solo in apparenza e aree trasformate in discariche abusive. È quanto emerso dall’operazione «Dirty Mud», condotta dalla Guardia Costiera di Porto Empedocle e coordinata dalla Procura di Agrigento, che ha acceso i riflettori su presunte gravi irregolarità nel dragaggio e riutilizzo dei fanghi prelevati dal porto di Trapani.
L’inchiesta riguarda i lavori di dragaggio dell’avamporto e delle aree a ponente del molo Ronciglio. Un appalto da circa 59 milioni di euro che prevedeva il trattamento dei fanghi marini attraverso un impianto mobile di lavaggio, il cosiddetto “sediment washing”, installato sul molo di levante di Porto Empedocle. I fanghi, sollevati dal fondo del porto di Trapani e trasportati via mare, avrebbero dovuto subire un trattamento prima di essere temporaneamente stoccati in un’area demaniale nella zona Caos, sempre a Porto Empedocle.
Ma le indagini, avviate nel settembre 2024, hanno rivelato che quel trattamento o non avveniva affatto o era svolto solo in minima parte. I fanghi venivano stoccati direttamente nell’area di Caos senza la necessaria lavorazione, contravvenendo agli obblighi contrattuali e alle norme ambientali. Da qui, il sequestro dell’impianto di lavaggio e dell’area di deposito temporaneo, per una superficie complessiva di circa 60.000 metri quadrati di demanio marittimo, dove sono stati trovati grandi quantitativi di rifiuti speciali.
Come se non bastasse, gli investigatori hanno scoperto anche una discarica abusiva su un terreno nel Comune di Agrigento, dove erano presenti rifiuti speciali, tra cui fanghi compatibili per caratteristiche con quelli provenienti dal dragaggio del porto di Trapani. Quest’area di circa 10.000 metri quadrati è stata anch’essa sequestrata.
Gli indagati sono accusati di frode nell’esecuzione del contratto pubblico stipulato con l’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Occidentale, per essersi garantiti un ingiusto profitto omettendo il trattamento dei fanghi, e di gestione illecita di rifiuti: raccolta, stoccaggio, smaltimento e miscelazione, il tutto senza le necessarie autorizzazioni.
L’operazione «Dirty Mud» mette in luce ancora una volta come dietro le grandi opere pubbliche possano nascondersi pratiche pericolose e illegali, con gravi danni per l’ambiente e per le casse pubbliche.