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12/06/2025 06:00:00

Caos sanità. Una persona su dieci rinuncia alle cure 

 Sulle liste di attesa c’è un grande problema che è legato ai decreti attuativi del Decreto Legge del 2024. Questo significa che l’attuazione delle misure è stata prima bloccata dalla lunga gestazione del decreto attuativo sulla piattaforma nazionale, poi tenuta in ostaggio dal conflitto istituzionale tra Governo e Regioni sul decreto relativo ai poteri sostitutivi.


Ma i numeri forniti dall’ISTAT sono allarmanti: nel 2024 una persona su dieci ha rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria, il 6,8% a causa delle lunghe liste di attesa e il 5,3% per ragioni economiche. E la motivazione relativa alle liste di attesa è cresciuta del 51% rispetto al 2023.
Il Presidente della Fondazione GIMBE Nino Cartabellotta parla di un confine netto tra realtà e propaganda: “Al 10 giugno 2025 dei sei decreti attuativi previsti dal DL Liste d’attesa solo tre sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale, lo scorso aprile. Dei rimanenti, uno è scaduto da oltre nove mesi e due non hanno una scadenza definita. “Il carattere di urgenza del provvedimento si è rivelato incompatibile con un numero così elevato di decreti attuativi, alcuni tecnicamente complessi, altri politicamente scottanti”.


L’analisi
Sono 4 milioni, dice Caltabellotta, gli italiani, cioè il 7% della popolazione, che nel 2024 hanno rinunciato alle prestazioni sanitarie a causa dei lunghi tempi di attesa. Un numero in crescendo: 2,5milioni erano nel 2023.


Spiega il presidente di GIMBE: “Se tra il 2022 e il 2023 l’aumento della rinuncia alle prestazioni era dovuto soprattutto a motivazioni economiche tra il 2023 e il 2024 l’impennata è stata trainata in larga misura dalle lunghe liste di attesa”. Negli ultimi due anni il fenomeno della rinuncia alle prestazioni non solo è cresciuto, ma coinvolge l’intero Paese, incluse le fasce di popolazione che prima della pandemia si trovavano in una posizione di ‘vantaggio relativo’, come i residenti al Nord e le persone con un livello di istruzione più elevato. Il vero problema non è più, o almeno non è soltanto, il portafoglio dei cittadini, ma la capacità del Ssn di garantire le prestazioni in tempi compatibili con i bisogni di salute”.


Tutto questo ovviamente dipende anche dal fatto che i decreti attuativi del Decreto Legge sulle liste di attesa non sono stati ancora pubblicati. Di questi tre provvedimenti, uno è scaduto da oltre nove mesi e due non hanno una scadenza definita: “Come già evidenziato in audizione dalla Fondazione – spiega il suo presidente, Nino Cartabellotta – il carattere di urgenza del provvedimento si è rivelato incompatibile con un numero così elevato di decreti attuativi, alcuni tecnicamente complessi, altri politicamente scottanti”. Dei tre provvedimenti non pubblicati, già scaduto risulta essere quello su “Modalità e procedure per l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte dell’Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria”. Su questo provvedimento, nota il presidente della Fondazione Gimbe, si è consumato in due mesi un duro scontro istituzionale tra Governo e Regioni. “Al di là delle dichiarazioni pubbliche di ritrovata sintonia istituzionale – commenta Cartabellotta – al 10 giugno non risulta ancora raggiunta l’intesa tra Governo e Regioni sul decreto attuativo”.


Eppure due di questi decreti riguardava il superamento del tetto di spesa per il personale sanitario ed è verosimilmente in stand-by per la mancata approvazione della ‘nuova metodologia’ Agenas per stimare il fabbisogno di personale. Mentre il secondo, che prevede linee di indirizzo nazionali per un nuovo sistema di disdetta delle prenotazioni e per l’ottimizzazione delle agende Cup – dice Caltabellotta– al 10 giugno 2025 non risulta ancora calendarizzato in Conferenza delle Regioni.
Osserva ancora: “Il dl Liste di attesa si è impantanato tra le complessità tecnologiche che frenano il decollo della piattaforma nazionale e la prolungata tensione istituzionale tra Governo e Regioni sui poteri sostitutivi. Le liste d’attesa non sono infatti una criticità da risolvere a colpi di decreti: sono il sintomo del grave indebolimento del Ssn, che richiede investimenti consistenti sul personale sanitario, coraggiose riforme organizzative, una completa trasformazione digitale e misure concrete per arginare la domanda inappropriata di prestazioni sanitarie”.