C'è un luogo in Sicilia che non appare quasi mai nei titoli dei giornali, ma che racconta molto di come il sistema dell’accoglienza stia evolvendo – o involvendo – in Italia. È l’hotspot di Pantelleria, la piccola isola al centro del Mediterraneo trasformata negli ultimi anni in punto di sbarco, trattenimento e transito per centinaia di migranti. Una struttura “invisibile”, come la definisce la relazione di monitoraggio firmata da alcune organizzazioni della società civile che hanno avuto accesso al centro e che per la prima volta ne raccontano, in modo dettagliato, la realtà.
Un luogo inaccessibile
Situato all’interno di un’ex caserma militare, l’hotspot è presidiato dalle forze armate e da personale di sicurezza privata. L’accesso è pressoché impossibile per giornalisti, osservatori esterni e persino per i rappresentanti delle istituzioni locali. Un isolamento che alimenta l’assenza di trasparenza. Nessuna indicazione è affissa all’esterno, nessuna informazione pubblica è disponibile sul funzionamento del centro, sulle persone trattenute o sulle modalità di gestione. Perfino il sindaco di Pantelleria ha più volte denunciato di non avere notizie né potere di controllo.
Accoglienza o trattenimento?
Secondo quanto emerge dalla relazione di ASGI (l'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione) l’hotspot di Pantelleria ha una capienza dichiarata di circa 80 posti, ma in estate – nei periodi di picco – può arrivare a ospitare fino a 150 persone, anche per diversi giorni, in spazi ristretti, con condizioni igienico-sanitarie precarie e assistenza medico-psicologica carente. Nonostante si parli ufficialmente di “prima accoglienza”, le testimonianze raccolte indicano che si tratta in realtà di un luogo di trattenimento di fatto, dove le persone vengono identificate, fotosegnalate, e restano in attesa – a volte per giorni – senza sapere dove saranno trasferite o per quanto tempo resteranno lì.
Mancanza di informazioni e violazioni dei diritti
Nessuna delle persone intervistate ha ricevuto informazioni chiare e comprensibili in merito alla propria situazione giuridica. Non viene spiegato il diritto di chiedere protezione internazionale, né viene garantito un accesso reale alla procedura d’asilo. Anche la possibilità di contattare un avvocato è inesistente. Tutto si consuma nel silenzio burocratico e nell’assenza di tutele legali, in netto contrasto con le normative italiane ed europee.
Minori e vulnerabili
Preoccupante è anche la gestione dei minori e delle persone vulnerabili. La relazione documenta la presenza di minori stranieri non accompagnati all’interno del centro, spesso non identificati come tali, o trattenuti insieme agli adulti. I colloqui sono svolti in condizioni inadatte, senza spazi riservati, né mediatori qualificati. Le persone con fragilità fisiche o psichiche non ricevono supporto adeguato e in alcuni casi non vengono nemmeno riconosciute come vulnerabili.
Un sistema emergenziale permanente
La relazione sottolinea come il centro sia gestito in regime di continua “emergenza”, sebbene l’esistenza stessa dell’hotspot a Pantelleria sia ormai strutturale da anni. Un’emergenza che giustifica deroghe alle regole, mancata trasparenza e nessuna pianificazione a lungo termine. Un modello che si ripete in molte altre aree di frontiera d’Italia, ma che a Pantelleria assume un carattere estremo, proprio per la dimensione ridotta dell’isola e la sua distanza dai centri decisionali.
L’appello delle associazioni
Le organizzazioni che hanno firmato il report – tra cui ASGI, Borderline Sicilia, Arci Porco Rosso – chiedono la chiusura dell’hotspot e un cambiamento radicale delle politiche di frontiera. Denunciano una gestione che viola i diritti fondamentali, alimenta l’insicurezza e trasforma un luogo di accoglienza in un centro di detenzione mascherata. “Pantelleria non può diventare un luogo di confino – scrivono –. I diritti valgono ovunque, anche su uno scoglio nel mezzo del mare”.
Intanto il Viminale stanzia tre milioni di euro per la gestione dell’hotspot di Pantelleria, ma sull’isola restano aperti dubbi e polemiche. La somma, destinata alla Prefettura di Trapani, servirà a coprire per un anno i costi relativi all’accoglienza dei migranti e alla gestione della struttura allestita nell’ex caserma “Barone”, già oggetto di aspre critiche da parte di istituzioni locali e cittadini.
Si tratta di un importo importante, parte integrante della nuova strategia del Ministero dell’Interno per rafforzare il presidio nei punti sensibili degli approdi nel Mediterraneo, ma che arriva in un contesto di tensioni irrisolte. L’hotspot di Pantelleria, infatti, è operativo da oltre un anno senza una pianificazione chiara e strutturata, e senza un confronto pubblico sul modello di gestione o sugli impatti per il territorio.
La notizia del finanziamento, emersa da fonti ministeriali e confermata dalla Prefettura, accende nuovamente il dibattito: se da un lato si cerca di rafforzare la capacità di risposta alle emergenze migratorie, dall’altro la comunità locale chiede maggiore trasparenza, coinvolgimento e soprattutto risposte alle proprie esigenze.
Il finanziamento di tre milioni di euro, sebbene significativo, potrebbe non bastare a risolvere problemi strutturali che richiedono un approccio di lungo periodo. Il rischio, come spesso accade in questi casi, è che le risorse vengano utilizzate per tamponare l’emergenza, senza costruire una visione sostenibile né per i migranti né per le comunità locali.
Qui il report completo.
Report Pantelleria 2025 by Redazione Tp24