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30/07/2025 06:00:00

Quando Grillo (padre) attaccava Rocco Chinnici sulla legge contro la mafia: "Liberticida"

Non bisogna mai dimenticare che c’è stato un tempo, neanche poi così lontano, in cui l’associazione a delinquere di stampo mafioso non era considerata un reato. Una di quelle cose che oggi ci fanno rizzare i capelli, ma che all'epoca, per molti, non era affatto uno scandalo, anzi. Il reato di mafia, o meglio l'associazione a delinquere di stampo mafioso, il famoso articolo 416bis del codice penale, infatti, in Italia è stato introdotto solo nel 1982, e non senza polemiche. 

 

Ieri, 29 luglio, ricorreva il 42° anniversario della strage di via Pipitone Federico, a Palermo, dove un’autobomba imbottita di esplosivo trucidò il giudice Rocco Chinnici, i componenti della sua scorta Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta, e il portiere dello stabile Stefano Li Sacchi. Chinnici, magistrato “visionario”, è ricordato come il “padre” del pool antimafia e soprattutto come l'ispiratore dell'articolo 416 bis del Codice Penale. Quello che, per la prima volta nella storia italiana, introdusse il reato di mafia e la confisca dei beni, grazie alla legge Rognoni-La Torre. Rivoluzionario, direte voi. E invece, all’epoca, il dibattito fu tutt’altro che pacifico, anzi, fu asprissimo.

 

Abbiamo recuperato dagli archivi Rai un documento singolare, una trasmissione televisiva del 1983 in cui il giudice Chinnici, poco prima di morire, dibatteva con Salvatore Grillo, ai tempi deputato regionale della Dc (prima di lasciare il posto al figlio, Massimo, come si usa nelle grandi dinastie politiche siciliane, oggi Sindaco di Marsala). Grillo è stato una figura di spicco della politica marsalese per oltre quarant’anni –  deputato regionale per quattro legislature, assessore regionale, e persino revisore dei conti in una dozzina di comuni – non uno qualsiasi, insomma. Ebbene, Grillo definiva la legge che istituiva il 416 bis “illiberale”, “anti siciliana” e paventava un “notevole contraccolpo all'economia siciliana”. 

 

A queste accuse, Chinnici replicava senza mezzi termini: "Io non condivido per nulla il giudizio dell'onorevole Grillo, che ha parlato di una legge illiberale e antisiciliana. È anzi una legge che può sanare l'economia siciliana. Siamo arrivati finalmente alla definizione di mafia. Anzi, questa legge è arrivata tardi, quando già polizia e magistratura avevano individuato le caratteristiche particolari dell'associazione mafiosa. Ma quale legge illiberale, non vedo perché ci si debba scandalizzare del fatto che la legge prevede il sequestro e la confisca dei beni ai mafiosi, che è una novità imposta dalla legge. Ma quale legge antisiciliana. La legge si applica alla camorra, alla 'ndrangheta". Nonostante la ferma replica di Chinnici, Grillo insisteva, parlando addirittura di una legge incostituzionale e, ancora, illiberale.

 

 

Quel dibattito sull'articolo 416 bis e sulla confisca dei beni mafiosi è la dimostrazione di quanta diffidenza c'era, in certa classe politica siciliana, - la stessa che oggi si spella le mani in applausi per le vittime di mafia, inventa frequentazioni postume, si auto celebra - verso chi voleva introdurre uno strumento, l'art. 416 bis del codice penale, che è stato fondamentale nella lotta alla mafia. Non fosse per il fatto che le ha dato un nome. 

 

A proposito di Chinnici, vale la pena ricordare le parole dell' ex Procuratore Generale di Palermo, Roberto Scarpinato, oggi senatore: “Rocco Chinnici non è stato vittima soltanto della Mafia militare, è stato la vittima di un sistema di potere composto da pezzi importanti della classe dirigente che hanno visto nel suo lavoro un'attività pericolosa e destabilizzante”. E aggiunge: "L'omicidio maturò nel mondo dei colletti bianchi, commissionato dal mondo dei colletti bianchi, un omicidio di famiglia della borghesia mafiosa che ha governato questo paese"

 

La sua morte, avvenuta due mesi dopo quel dibattito in tv , fu il prezzo altissimo pagato per aver alzato il livello dell'indagine, per aver osato toccare i "cugini Salvo", l'anello di congiunzione tra la mafia militare e il mondo economico e politico.

 

L’estratto della trasmissione Rai  è un documento prezioso. Non un semplice pezzo d'archivio, ma una testimonianza tangibile di quanto fosse difficile, e per certi versi scomodo, persino parlare di mafia come di un problema strutturale. Un monito a non semplificare una storia complessa, a non cadere nella tentazione di un racconto che  nasconde i nomi e confonde le idee. Perché se la Sicilia è una terra dove “tutto cambia perché nulla cambi”, forse è proprio guardando al passato, e alle battaglie vere che sono state combattute, che potremo iniziare a difenderla davvero.

 

Qui il link completo dell’estratto della trasmissione Rai, "Occhio aperto sulla Regione, del 31 Marzo 1983: [http://www.regionesicilia.rai.it/dl/sicilia/video/ContentItem-bb369ab2-0c25-401a-8ad8-1f2bd57e5a37.html]