Instancabile narratore di storie, memorie e pietre antiche, Vito Surdo torna a sorprenderci e a dilettarci con la sua ultima produzione storico-letteraria, un breve pamphlet intitolato “La Chiesa di San Giuliano a Salemi”.
Ma il titolo non deve trarre in inganno: non si tratta né dell’ennesima agiografia di cui abbonda la pubblicistica locale, né di un manuale di architettura ecclesiastica. e men che mai di una guida turistica.
E’ un racconto che profuma di mistero e di antico, ma che è anche di sottile denuncia di come spesso si procede in questa tanto infelice isola.
Un appassionante viaggio nel passato, alla ricerca di una balaustra perduta che impreziosiva la facciata esterna del tempio dedicato al santo fiammingo (la statua del santo, opera di Domenico Gagini, fu ricollocata dopo il crollo in un altare della Chiesa Madre) , per tentare di capire come sia stato possibile che, nonostante fosse sopravvissuta al crollo della chiesa nel 1650, prima, e al sisma del 1968, dopo, sia poi svanita nel nulla assieme alla gradinata, quando il proprietario decise di ristrutturare l’edificio.
Una storia insolita ma alquanto emblematica di come spesso si procede in queste lande in presenza di conservazione di reperti storici di un certo valore e che al tempo stesso suscita domande non solo senza risposte ma che ne generano altre.
La prima delle quali è: perché proprio a Salemi, a pochi metri dalla Chiesa Madre, nella centralissima “Rua Grande” (l’attuale via Francesco Crispi, all’incrocio della via Porta Gibli) venne edificata una chiesa dedicata a San Giuliano detto l’Ospitaliere?
Una domanda non oziosa, dal momento che sono pochissime le chiese dedicate al santo Giuliano, in Sicilia solo tre, e poco più di una dozzina in tutto il territorio italiano.
Perché a Salemi tanta religiosa devozione venerazione per un santo, che in gioventù si rese protagonista di tantissimi episodi di violenza e crudeltà, fino all’estremo limite, macchiandosi di un delitto atroce avendo ucciso nello stesso istante il padre e la madre, sia pure involontariamente?
Del temperamento giovanile di Giuliano il famoso scrittore francese Gustave Flaubert ci ha lasciato un ritratto a fosche tinte impegnandolo per circa due anni a scrivere “La légende de saint Julien l'Hospitalier”, un piccolo capolavoro di notevole ricchezza e complessità che abbiamo letto tutta di un fiato e dove fantastico e sovrannaturale s’intrecciano senza soluzione di continuità.
Dopo avere ricordato che, ancora bambino, Giuliano strozzò un piccione procurandogli “una voluttà selvaggia e tumultuosa”, Flaubert elenca una lunga serie di episodi in cui il giovane manifesta un’indole dominata da una eccessiva violenza, sterminando con sadismo ogni tipo di fauna (uccelli, lupi, cinghiali, serpenti, orsi) che incontrava durante il suo lungo e solitario peregrinare macchiato di sangue. Non si stancava di uccidere.
Fino al momento in cui…, scrive lo scrittore francese:
“Mentre la notte stava per scendere e il cielo era rosso come una coltre di sangue, dietro un albero, [Giuliano,]scorgendo un cervo nero, una cerva bionda e il suo cerbiatto chiazzato, con la balestra li uccise tutti e tre. E il grande cervo, prima di esalare l’ultimo respiro, mentre una campana rintoccava lontano, ripeté tre volte: ‘Maledetto! Maledetto! Maledetto! Un giorno, cuore feroce, assassinerai tuo padre e tua madre!’. Piegò le ginocchia, chiuse lentamente le palpebre e morì”.
Il gesuita salemitano, Giuseppe Stanislao Cremona, nella sua “Storia di Salemi” del 1762 scrive che per la festa del santo, il 29 gennaio, accorreva “un affollato popolo e massime quei che si sono saputi temperare in qualche bollore d’ira per cui si sono trovati in gravissimo rischio di diviniri omicidi, come il santo doppiamente parricida”
Non azzardiamo alcuna ipotesi sui motivi di tanta partecipazione, ma, una cosa e’ certa, la storia della balaustra scomparsa collegata a questo santo ha dato l’occasione a Vito Surdo, di regalarci una storia avvincente in cui si intrecciano il sacro e il mistero, la colpa e la redenzione, la pietra che racconta più di quanto sembri, la scomparsa di una scala e di una balaustra, nonostante si fossero salvate con il crollo della chiesa avvenuto nel lontano 1650 e anche con il terremoto del 15 gennaio del 1968. E il mistero che ammanta questa scomparsa.
Leggendo il suo breve ma intenso opuscolo apprendiamo che la statua del santo che nella chiesa si trovava, non ebbe una fissa dimora come non la ebbe il santo in gioventù. Dopo il crollo, fu trasferita nella Chiesa Madre, dove vi rimase fino al 1968, anno del terremoto. Quando la Madrice venne buttata giù, non dal sisma, ma da impietosi cingolati manovrati da mani umane, venne ospitata all’Istituto san Gaetano, dove nemmeno qui trovò pace, sempre a causa dell’uomo che non seppe rispettare la volontà dell’italo-americano Gaetano Uddo che, 74 anni fa, donò al Comune di Salemi ben 100milioni di vecchie lire. Venne ricollocata nel Museo civico dove sembra avere finalmente messo fine al suo lungo peregrinare.
La Chiesa non fu più ricostruita. Il terreno fu venduto a privati per edificarvi case di civile abitazione.
Sulle fondamenta dell’area di risulta vi fu costruito un fabbricato che si distingueva dagli altri per avere un ingresso “sontuoso” a cui si accedeva salendo una scalinata esterna, abbellita da un’elegante balaustra in pietra “campanedda”, la tipica pietra salemitana proveniente dalle cave di Monterose.
Fino agli anni ’70 del secolo scorso, chi passava dalla “Porta Gibli”, rivolgendo lo sguardo alla scalinata con la preziosa balaustra era convinto di trovarsi davanti ai resti di una antica dimora patrizia andata in decadenza. Ma che per Surdo, erano gli eleganti elementi sopravvissuti dell’ingresso della Chiesa di San Giuliano l’Ospitaliere.
Di esse ci rimane una testimonianza fotografica scattata da Lorenzo Scalisi a metà degli anni ’50. A partire da una certa data, che non si sa con precisione, balaustra e scalinata sono misteriosamente scomparse.
Di certo c'è che il fabbricato fu oggetto di intervento edilizio usufruendo del
contributo statale previsto dalle leggi di ricostruzione post-terremoto.
Ma da questo momento in poi non a polverosi archivi Vito Surdo si e 'affidato ma a voci attinte nei bar, tra il tintinnio di fumanti tazzine di caffè corretti di ironia e di
illazioni.
Tra un bar e l’altro, qualcuno con un teatrale atteggiamento circospetto avrebbe giurato di avere visto “due operai numerare con vernice rossa le componenti della balaustra, numerazione necessaria se finalizzata ad una sua ricomposizione in sede o…altrove”.
Ma, conclude Surdo: si sa che i “si dice”, sono sempre false insinuazioni!
Vero. E allora qual è la verità?
Non siamo in Sicilia? E Sciascia ci avvisò che la verità si trova nel fondo di un pozzo, dove se vi guardiamo vi vediamo il sole o la luna; ma se ci buttiamo giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità.
Ma a quanto pare nel nostro caso si tratterebbe di un pozzo senza fondo.
Franco Ciro Lo Re