La Cassazione ha confermato la libertà vigilata per Romualdo Agrigento, 50 anni, originario di San Cipirello, uno dei carcerieri e assassini del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito Santino rapito nel 1993 e barbaramente ucciso nel 1996. Agrigento, già condannato all’ergastolo e figlio del boss Giuseppe Agrigento, detenuto al 41 bis, potrà dunque lasciare il carcere.
La decisione è stata presa dalla quinta sezione della Suprema Corte, presieduta da Rossella Catena, che ha respinto il ricorso presentato dalla Procura generale di Sassari contro il provvedimento del Tribunale di Sorveglianza della stessa città, che già lo scorso 10 aprile aveva riconosciuto il beneficio.
Le contestazioni della Procura Generale
Secondo i magistrati sardi, il Tribunale di Sorveglianza non avrebbe adeguatamente considerato la gravità dei reati commessi da Agrigento — mafia, sequestro di persona a scopo di estorsione, omicidio, distruzione di cadavere e altri delitti avvenuti a Palermo tra il 1991 e il 1993 — né l’eventuale attualità dei suoi legami con ambienti mafiosi.
A pesare, secondo l’accusa, anche l’assenza di un risarcimento alle vittime e la mancanza di un’autentica revisione critica del proprio passato criminale.
La valutazione dei giudici
Per la Cassazione, però, tali rilievi non sono sufficienti a ribaltare la decisione del Tribunale di Sorveglianza, che avrebbe invece motivato in modo «adeguato» il proprio giudizio. I giudici sottolineano come la relazione sul percorso carcerario di Agrigento descriva una condotta positiva e coerente con il processo rieducativo, pur riconoscendo la mancata esplicita ammissione di responsabilità sulla drammatica vicenda dell’omicidio del piccolo Giuseppe.
Nella sentenza si riconosce infatti una «perdurante ritrosia» dell’uomo ad affrontare l’argomento, attribuita dai periti a un «disagio interiore» nel dichiararsi partecipe di un delitto che ha segnato profondamente la memoria collettiva. Per i giudici, tuttavia, questo elemento non è sufficiente a «compromettere gli ulteriori indicatori» che descrivono una complessiva revisione critica del passato.
Nessun legame attuale con cosa nostra
La Suprema Corte rileva inoltre che i familiari di Agrigento vivono fuori dalla Sicilia, che il padre è detenuto in regime di 41 bis e che non risultano contatti con esponenti di Cosa nostra. Per questi motivi, non emergerebbero elementi per ritenerlo oggi socialmente pericoloso.
Giuseppe Di Matteo fu rapito il 23 novembre 1993 da un commando mafioso travestito da poliziotti e rimase prigioniero per oltre due anni. L’11 gennaio 1996 venne strangolato e il suo corpo fu sciolto nell’acido: un delitto compiuto per vendicarsi del padre Santino, che aveva iniziato a collaborare con la giustizia.