Il no che cambiò l’Italia. Sessant’anni fa il rapimento di Franca Viola
Il 26 dicembre 1965, ad Alcamo, la violenza cercò di travestirsi da destino. Ma trovò un ostacolo imprevisto: una ragazza di diciassette anni che disse no. Sessant’anni dopo, la storia di Franca Viola resta una delle più potenti fratture nella cultura patriarcale italiana del Novecento.
Franca Viola venne rapita nella sua casa da Filippo Melodia, giovane legato alla mafia locale. Fu segregata per otto giorni, violentata, picchiata. Un sequestro che, secondo le regole non scritte dell’epoca – ma perfettamente coerenti con il codice penale vigente – avrebbe dovuto “risolversi” con un matrimonio riparatore. Un rito sociale e giuridico che trasformava la vittima in moglie e l’aggressore in uomo d’onore, cancellando il reato e restituendo decoro alla famiglia.
Ma Franca disse no.
Lo fece insieme alla sua famiglia, pagando un prezzo altissimo: isolamento, minacce, pressioni, l’ostilità di un intero paese. Quel rifiuto non fu soltanto personale. Fu un atto politico, civile, rivoluzionario. «Io non sono proprietà di nessuno, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce», dichiarò. Parole che oggi sembrano ovvie, ma che nel 1966 erano una detonazione culturale.
Il processo contro Melodia scosse l’Italia. Per la prima volta una donna non accettava di “salvare le apparenze” sacrificando la propria dignità. Franca Viola diventò, suo malgrado, un simbolo nazionale. Un simbolo che incrinò l’idea stessa di onore, mettendo sotto accusa una società che proteggeva la violenza maschile e colpevolizzava le vittime.
La sua scelta contribuì a un cambiamento lento ma irreversibile. Il reato di “matrimonio riparatore” sarebbe stato abolito solo nel 1981, insieme al delitto d’onore. Troppo tardi per Franca, abbastanza in tempo per le generazioni successive.
Oggi la sua storia è raccontata nei libri di scuola, nei film, nei documentari. Ma il rischio della retorica è sempre in agguato. Ricordare Franca Viola non significa imbalsamare un’eroina, ma misurare quanto di quel mondo resista ancora. Nelle cronache quotidiane di violenza di genere, nei silenzi, nelle giustificazioni, nei linguaggi che colpevolizzano.
Sessant’anni dopo, quel no continua a interrogare il presente. Perché Franca non ha soltanto salvato se stessa. Ha aperto una strada. E ogni volta che una donna rifiuta di essere definita dalla violenza subita, quel no torna a vivere.
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