Un sistema mafioso stabile, strutturato e operativo nel cuore economico del Paese. Non una semplice sommatoria di clan, ma una alleanza orizzontale tra Cosa Nostra siciliana, ’ndrangheta calabrese e camorra, capace di gestire affari, traffici e investimenti come un’unica organizzazione. È questo, secondo la Direzione distrettuale antimafia di Milano, il quadro che emerge dal processo Hydra, uno dei procedimenti più rilevanti degli ultimi anni sul radicamento delle mafie al Nord.
Il processo, coordinato dai pm Alessandra Cerreti e Rosario Ferracane, coinvolge 146 imputati e ha già portato, nel rito abbreviato, a richieste di condanna per oltre 570 anni di carcere, oltre a confische per circa 479 mila euro. Un maxi-procedimento che si celebra in parte nell’aula bunker del carcere di Opera e che punta a dimostrare l’esistenza di un vero e proprio “sistema mafioso lombardo”, attivo soprattutto tra Milano e Varese.
L’inchiesta Hydra e il riconoscimento della “mafiosità immanente”
L’indagine Hydra nasce nel 2023 dal lavoro dei carabinieri del Nucleo investigativo di Milano. Gli investigatori hanno documentato 21 incontri mafiosi avvenuti tra il 2020 e il 2021 in località dell’hinterland lombardo come Dairago e Cinisello Balsamo, veri e propri summit tra esponenti delle tre principali organizzazioni mafiose.
In una prima fase il Gip di Milano aveva respinto la richiesta di 142 arresti, ritenendo non sufficientemente dimostrata l’esistenza di un unico vincolo associativo mafioso. Ma la tesi della Procura ha trovato conferma nei gradi successivi: il Tribunale del Riesame prima e la Corte di Cassazione poi hanno riconosciuto la presenza di una “mafiosità immanente”, cioè di un sodalizio stabile e strutturato, seppur privo di una cupola tradizionale.
Secondo i giudici, non si tratterebbe di una semplice cooperazione occasionale, ma di una confederazione criminale in cui ogni mafia mantiene la propria identità e autonomia territoriale, condividendo però affari, risorse, strategie e una cassa comune.
Gli affari del sistema: droga, armi, bonus Covid e settori economici strategici
Le attività contestate agli imputati coprono un arco molto ampio:
traffico di droga e armi, estorsioni, riciclaggio di denaro attraverso società fittizie, truffe sui bonus Covid e sui crediti d’imposta, fino al controllo e all’infiltrazione di settori economici strategici come logistica, edilizia e sanità.
Un ruolo centrale, secondo l’accusa, lo avrebbe avuto una “bacinella” comune, una cassa condivisa destinata al sostegno dei detenuti appartenenti alle diverse organizzazioni mafiose. Un elemento che, per la Procura, rappresenta uno dei segnali più chiari dell’esistenza di un sistema unitario.
Gli inquirenti ipotizzano anche canali di interlocuzione con ambienti politici e amministrativi, funzionali allo scambio tra voti e appalti, un fronte che resta delicato ma che emerge come sfondo costante dell’indagine.
La componente siciliana: Cosa Nostra tra Palermo, Trapani e Milano
All’interno del presunto consorzio mafioso lombardo, Cosa Nostra siciliana gioca un ruolo di primo piano. I principali referenti indicati dalla Procura sono Giuseppe Fidanzati e i fratelli Pace, espressione di famiglie storiche palermitane e trapanesi, con collegamenti diretti a Matteo Messina Denaro.
La famiglia Fidanzati
Giuseppe Fidanzati, figlio del boss Gaetano Fidanzati, è considerato il vertice di Cosa Nostra nell’area milanese. Per lui la Procura ha chiesto 20 anni di carcere nel rito abbreviato.
La famiglia Fidanzati, originaria di Palermo ma insediata a Milano da decenni, rappresenta una delle più solide proiezioni della mafia siciliana al Nord. Secondo l’accusa, Fidanzati avrebbe gestito traffici e affari condivisi con ’ndrangheta e camorra, fungendo da snodo di raccordo all’interno della governance criminale del sistema Hydra.
I gruppi catanesi: Maffei e Rinzivillo
L’inchiesta coinvolge anche ramificazioni catanesi, in particolare i gruppi Maffei e Rinzivillo, operativi nell’area di Busto Arsizio. Tra gli imputati figura Rosario Abilone, per il quale sono stati chiesti 16 anni di carcere.
Le accuse sono rafforzate dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia come William Alfonso Cerbo e Saverio Pintaudi, che hanno descritto il ruolo dei gruppi catanesi nei traffici e nel riciclaggio all’interno del sistema lombardo.
Il mandamento di Castelvetrano e l’eredità di Messina Denaro
Un capitolo centrale del processo Hydra riguarda il mandamento di Castelvetrano, storicamente guidato da Matteo Messina Denaro. Le indagini collocano questa componente trapanese come uno dei pilastri dell’alleanza mafiosa al Nord.
I principali rappresentanti sono i fratelli Pace:
- Bernardo Pace, per il quale sono stati chiesti 18 anni di carcere
- Michele Pace, 16 anni richiesti
- Domenico Pace, 14 anni richiesti
Secondo l’accusa, i Pace avrebbero partecipato agli incontri mafiosi documentati tra il 2020 e il 2021 in Lombardia, prendendo parte alle dinamiche decisionali del sistema confederativo.
Accanto a loro emerge la figura di Paolo Aurelio Errante Parrino, cugino di Matteo Messina Denaro, ritenuto un canale diretto tra il boss latitante e il sistema mafioso lombardo. Errante Parrino avrebbe gestito affari, passato proventi economici e informazioni a Messina Denaro e sarebbe intervenuto come mediatore nelle liti tra mafiosi, dimostrando il peso del mandamento anche a distanza. La sua posizione è particolarmente delicata ed è stato recentemente sottoposto al regime del 41 bis.
I flussi di denaro e le conferme dei pentiti
Uno degli aspetti più rilevanti dell’inchiesta riguarda i flussi di denaro dal sistema mafioso lombardo verso Matteo Messina Denaro. Un elemento confermato dal nuovo collaboratore di giustizia Francesco Bellusci, che nei suoi verbali parla esplicitamente di “soldi per Messina Denaro”.
Le dichiarazioni di Bellusci si aggiungono a quelle di altri pentiti, rafforzando l’ipotesi che il boss trapanese, pur latitante, continuasse a beneficiare di una rete economica attiva anche al Nord.
Lo stato del processo
Nel novembre 2025, la Procura ha formulato le richieste di condanna nel rito abbreviato per 77 imputati su 78, per un totale di oltre 570 anni di carcere. Il procedimento prosegue in rito ordinario per altri 59 imputati, mentre restano pendenti alcuni patteggiamenti.
Tra le parti civili figurano i Comuni di Milano, Varese e Legnano, la Regione Lombardia e l’associazione Libera, a testimonianza della rilevanza istituzionale e simbolica del processo.
Un processo spartiacque
Il processo Hydra rappresenta un passaggio storico nella lettura giudiziaria delle mafie contemporanee. Non più solo infiltrazioni o colonizzazioni episodiche, ma un modello criminale evoluto, capace di integrarsi nei gangli dell’economia del Nord e di superare i confini tradizionali delle singole organizzazioni.
Nel sistema Hydra, Castelvetrano, Palermo e Catania non sono semplici luoghi d’origine, ma nodi di una rete nazionale che conferma come la mafia sia ormai un fenomeno strutturalmente italiano, capace di adattarsi e prosperare anche nei territori considerati, per decenni, immuni.